Alfieri R. Le Idee Che Nuocciono Alla Sanità E Alla Salute. Ed. Franco Angeli, Milano 2007 (Pag. 192)

Cap 1 Introduzione

 Le idee condizionano fortemente i nostri processi cognitivi e decisionali. Influenzano le modalità con cui analizziamo i problemi, definiamo gli obbiettivi e scegliamo gli interventi da realizzare. Influenzano anche la percezione della crisi sanitaria che attraversiamo. Non è semplicemente dovuta a una discrepanza tra bisogni che aumentano e finanziamenti che non riescono a tenere lo stesso passo. L’aziendalizzazione, la privatizzazione e la libera scelta nel mercato sanitario rappresentano risposte monche perché scaturiscono da paradigmi sbagliati. 1 I servizi sanitari non possono essere assimilati alle aziende (v tab 1 pag 16) 2 L’assegnazione di un ruolo di maggior rilievo al privato in sanità comporta una trasformazione di scopo: successo e profitto sostituiscono salute, equità e priorità. 3 La libera scelta e la responsabilizzazione individuale sono un miraggio illusorio soprattutto in presenza di imperfezioni nell’informazione del consumatore e di dilaganti conflitti di interesse. Sono, quindi, altri i cambiamenti da promuovere. Sono, prima di tutto, di ordine culturale. Va modificata la concezione di essere umano, di servizi sanitari, di malattia (non come guasto meccanico della macchina corporea) di potere, di progresso… Ma le idee non sono innate, nascono dall’esperienza. Quelle che ci costruiamo nelle nostre menti dipendono dalla forma di vita in cui siamo calati, dalla cultura e dalle nostre traiettorie esistenziali. Per riformare le idee bisogna riformare la cultura. Le idee sono, nello stesso tempo, una rappresentazione mentale, che riassume in sé una serie di esperienze, e un modo di vedere, una prospettiva particolare che consente di riconoscere e interpretare oggetti ed eventi. Quali sono i fattori che contribuiscono a diffondere delle idee sbagliate e quali altri possono diffondere delle idee giuste? Sarebbe importante dedicarsi allo studio dell’epidemiologia delle idee per cercare di promuovere quelle sane. In particolare, alcune tra le idee più diffuse manifestano la loro disfunzionalità nelle gestione delle malattie croniche, un problema destinato a investirci sempre più diffusamente. 

Cap 2 sulla sfida culturale delle malattie croniche  L’aumento dell’attesa di vita ha comportato anche un aumento degli anni di vita perduti a causa della malattia e disabilità perché parte del tempo che si guadagna viene vissuto in condizioni di malattia cronica. La malattia cronica fa vacillare le nostre sicurezze. Tanti paradigmi della nostra cultura vengono infranti dalla malattia cronica, a incominciare da quello che concepisce l’essere umano come individuo autonomo e dominatore; o da quello che vede nel progresso e nel mercato la possibilità di acquisire qualsiasi bene, anche la salute. Per loro natura le malattie croniche esigono che i servizi si dotino di alcune caratteristiche qualitative che oggi sembrano difettose: 

  • La continuità delle cure (bisogna tener traccia non di singoli episodi acuti di malattia, ma di lunghi percorsi assistenziali. C’è bisogno di riformare i sistemi informativi esistenti).
  • La globalità (occorre una maggiore convivialità tra le discipline medico-scientifiche, un maggior dialogo tra diversi specialisti, una maggiore comprensione dei problemi dei pazienti, che superano quasi sempre i confini delle singole discipline.
  • La flessibilità (siamo di fronte a evoluzioni imprevedibili in contesti estremamente variabili. Non valgono progetti predefiniti, ma conta una progettualità prossimale che tenga conto di ciò che accade e delle preferenze del malato cronico che adotta prassi decisionali diverse da quelle della persona in salute (si veda, ad esempio, la teoria prospettica delle decisioni che spesso ci aiuta a spiegare le loro scelte).

  • La cronicità è un problema complesso e deve avvalersi dei saperi propri della teoria della complessità: relazioni generative, attrattori, approcci multipli e specificazioni minime sono espedienti fondamentali che ci aiutano a navigare nella complessità.

  • Cap 3 L’idea di essere umano: chi è e che cosa è?

  • L’essere umano può essere visto in 3 modi diversi: come individuo (un’isola priva di legami), come frutto della società (un ingranaggio che può essere sostituito e sacrificato) o come persona.
  • Diverse concezioni dell’essere umano sono alla base di differenti paradigmi in ambito sociologico, come quello dell’azione e della struttura. Essi interpretano diversamente i fenomeni macroscopici e li riconducono o alle motivazioni individuali (secondo una concezione individualistica) o alla struttura della società (in cui l’essere umano non è che un ingranaggio). Anche i modelli politici del liberismo e del totalitarismo hanno la loro base su concezioni diverse dell’essere umano, rispettivamente come individuo o come ingranaggio. Ma concepire in un modo o nell’altro l’essere umano non può dipendere dalle nostre congetture.
  • La sola concezione di essere umano non riduzionistica e supportata dalle neuroscienze è quella personalistica. In base ad essa non è l’essere umano a creare la società (come per la concezione individualistica), né è la società a creare l’essere umano. E’, viceversa, l’essere umano che crea la società, e questa, a sua volta, contribuisce a forgiare l’essere umano, secondo un’interazione ricorsiva. Esiste, quindi, una relazione dialogica tra individuo e società.
  • Dalla concezione personalistica derivano implicazioni importanti per ciò che attiene il rapporto con gli altri (ad esempio, il rapporto medico-malato) e il modo di intendere potere, verità e democrazia.
  • Ci si potrebbe chiedere da dove derivi il dilagare di un’idea sbagliata come quella dell’individualismo. Ha molto a che fare col dilagare della meritocrazia nelle nostre società. L’ideale meritocratico che caratterizza le nostre democrazie liberali ci porta a pensare che siamo artefici del nostro destino e che non dobbiamo nulla a nessuno. In questa prospettiva, gli altri ci appaiono soprattutto come possibili avversari, in competizione con noi. Si radica, perciò, nelle nostre menti un atteggiamento individualistico che corrode i legami con la comunità di cui siamo parte.
  • La storia evolutiva può fornirci un’ulteriore spiegazione.
  • Il passaggio da un’era di scarsità, durata poco meno di 200 mila anni (alternata a fasi di maggiore fortuna) a un’era di abbondanza, così come è avvenuto nel corso di questi ultimi 2 secoli, ci ha colto impreparati da un punto di vista dell’evoluzione biologica.  E non siamo ancora riusciti a rimediare tramite gli strumenti della cultura. Mentre il tempo lungo della storia ci ha permesso di adattarci alla scarsità, siamo tuttora incapaci di interagire con l’abbondanza. Un esempio di questa impreparazione potrebbe provenire dalla epidemia di obesità che affligge l’umanità. Un altro esempio potrebbe rintracciarsi nel progressivo consumismo e nel desiderio di possedere sempre di più. Così come per l’obesità anche per il consumismo avido è il sistema della ricerca e del piacere a esercitare un potere condizionante, con i suoi meccanismi capaci di generare tolleranza e astinenza.  Rischiamo di trasformarci progressivamente in una società “drogata” in cui regna l’individualismo
  • Per uscire dal circolo vizioso legato al desiderio avido e al consumismo bisognerebbe riuscire ad apprezzare maggiormente il fascino delle relazioni e della interdipendenza. Sono loro a svelarci come la nostra capacità di star bene non dipende da ciò che acquistiamo e possediamo individualmente, ma dalla condivisione del benessere con le persone che ci stanno intorno. E, con l’avvento della globalizzazione, ciò che ci sta intorno si estende a includere esseri umani che vivono molto lontano da noi. Non siamo isole, ma persone che devono legarsi in reciproche relazioni di rispetto, amicizia e fratellanza.

  • Cap 4 su potere e verità

  • Il potere viene inteso come possibilità di imporre la propria volontà e dominare gli altri e la natura. Andrebbe inteso, invece, come possibilità di servire, di aiutare, fare il bene, contribuire da protagonisti alla elaborazione del bene comune.
  • La verità viene intesa in modo dogmatico per cui il vero e il falso, così come il bene e il male, si conoscono a priori e, quindi, vanno imposti.
  • Occorrerebbe, invece, una concezione dinamica della verità: un traguardo cui tendere indefinitamente grazie anche al contributo di tanti altri.
  • La miscela di queste concezioni prevalenti di potere e verità può diventare davvero esplosiva quando si combina con una fede cieca come, ad esempio, si manifesta nel primato del mercato e della competizione per soddisfare qualsiasi tipo di esigenza umana. Queste idee di potere e verità derivano, a loro volta, da diverse concezioni dell’essere umano: come individuo o come persona. Soprattutto nel campo dei servizi alla persona queste idee dimostrano tutta la loro inadeguatezza e pericolosità.
  • Il pericolo deriva anche dal fatto che, per i servizi sanitari, si è stabilito di concentrare il potere su una figura monocratica: il direttore generale. Viene scelto sulla base della sua fedeltà e obbedienza ai partiti di governo, non certo per le sue doti umane e professionali. Non conta il valore civico e professionale. Vale l’affiliazione partitica. E’ un vero peccato perché nelle organizzazioni le scelte più cruciali, in quanto più gravide di conseguenze e, quindi, a maggior contenuto etico, sono quelle relative alla copertura dei ruoli di maggiore responsabilità. Non si capisce fino in fondo l’impatto che questi errori possono riversare nell’ambito dei servizi alla persona, dove le caratteristiche dell’azione sono basate sulla praxis (l’agire discorsivo) e non sulla poiesis (l’agire strumentale); dove la virtù che presiede all’azione è la phronesis (capacità di comprensione di una situazione specifica), non l’abilità ad usare strumenti (la techne) v tabella a pag 16.


  • Cap 5 sulla idea di progresso e servizio sanitario

  • Coltiviamo una concezione molto materiale di progresso. Lo facciamo coincidere con un aumento afinalistico della produzione e del consumo, senza motivazioni e scopi prioritari.
  • In coerenza con questa concezione, nell’ambito della sanità si assume che più visite, più esami e prestazioni equivalgano a più salute.
  • Invece, progresso significa, piuttosto, consapevolezza dei limiti, padronanza di sé, capacità di definire ciò che è essenziale e prioritario.
  • La salute non è assenza di malattia. E’, piuttosto, una condizione di equilibrio dinamico tra le componenti fisiche, psicologiche e sociali della salute. Se concepiamo la salute in questa multi-dimensionalità possiamo anche capire come sia possibile compensare un deterioramento fisico progredendo da un punto di vista intellettuale, emotivo e psico-sociale. Arriviamo a comprendere come, anche dopo che si sia intrapresa la strada della cronicità, sia comunque possibile rivedere la luce e aspirare persino a più elevati livelli di benessere rispetto a prima.
  • Anche la cura oggi ha assunto un significato diverso. A causa degli attuali meccanismi di tariffazione coincide con un insieme di prestazioni di cui vengono calcolate efficienza e reddittività.
  • Dovrebbe, invece, significare un’attività di aiuto che si adatta alle mutevoli condizioni del malato con dedizione, sollecitudine e senso di responsabilità.
  • Per via delle caratteristiche demografiche della nostra società sarebbe cruciale riflettere anche sulla natura dell’invecchiamento. E’ la natura del problema infatti, che deve orientarci sugli obbiettivi da raggiungere, le strategie e gli interventi da realizzare. Se consideriamo l’invecchiamento una malattia, come sosteneva Terenzio nel 2’ secolo a.C., dobbiamo medicalizzare i problemi dell’invecchiamento e confidare in qualche rimedio salvifico ottenibile dai progressi scientifici e tecnologici. Se, invece, lo consideriamo un processo naturale, dobbiamo valorizzare le risorse residue dei vecchi e supportarli nell’ambito delle loro famiglie e della società.
  • Forse la posizione migliore è quella che concilia entrambe questa concezioni della vecchiaia. Dobbiamo riconoscere che l’invecchiamento, pur non coincidendo con la malattia, è gravato da una maggiore frequenza di eventi patologici per cui i servizi sanitari mantengono un ruolo irrinunciabile. Occorre trovare una posizione di equilibrio. Oggi assistiamo a uno sbilanciamento eccessivo verso la medicalizzazione della vecchiaia. Gli aspetti sociali e relazionali sono, invece, ugualmente importanti e non vanno trascurati.
  • Sono tante le idee che potremmo definire disfunzionali perché finiscono per dichiarare guerra all’esistenza e ci fanno vivere in un perenne stato di belligeranza.


  • Cap 6 su nuove idee di scienza e medicina

  • Esiste una scienza riduzionistica che può diventare strumento di dominio e si disinteressa della soggettività. E c’è anche una scienza che non riduce l’umano al biologico e il biologico al materiale e riconosce i condizionamenti della storia e della cultura. Questa scienza viene concepita come strumento di servizio.
  • La medicina è stata definita come scienza di range intermedio. Si colloca, infatti, tra le scienze capaci di stabilire leggi universali e quelle che si limitano a fare previsioni sulla base di statistiche ottenute da frequenze e associazioni. Una scienza che, per arrivare a gradi superiori di certezza, ha bisogno di confermare le sue ipotesi a diversi livelli di realtà (dalle cellule e dai tessuti agli individui e alle popolazioni).
  • L’evoluzione che ha caratterizzato il pensiero medico solo in questi ultimi tempi ha subito una forte accelerazione. Nel giro di pochi secoli si è passati dalle pozioni magiche ai trapianti d’organo. La medicina magico religiosa del tempo dei Faraoni assumeva che le malattie fossero una conseguenza dei castighi divini. Con Ippocrate, nel 5’ secolo aC si pensò, invece, che le malattie dipendessero da uno squilibrio interno degli umori corporei. Paracelso nella prima metà del 1500, ribaltò questa concezione e attribuì la malattia a cause esterne, forte della sua esperienza personale come medico curante degli operai della pietra che si ammalavano di malattie respiratorie.
  • Vesalio, nella seconda metà del 1500, fu in grado di sovvertire l’anatomia di Galeno che aveva condotto a risultati erronei perché si era basata sulle autopsie condotte nei maiali. Harvey scoprì una nuova fisiologia nella prima metà del 600, riconoscendo la funzione del cuore nel pompare il sangue ai diversi organi, tramite il sistema circolatorio e contestando le antiche concezioni secondo cui il funzionamento del corpo si fondava sull’esistenza di un’anima razionale (nella mente), di un’anima irascibile (nel cuore) e di un’anima concupiscente (nel fegato). Malpighi, poi, nella seconda metà del 600, incominciò l’esplorazione dell’anatomia microscopica avvalendosi del microscopio.
  • Verso la fine del secolo del lumi si manifestò una sorprendente accelerazione di scoperte e invenzioni. Basta citare, ad esempio, la mongolfiera dei fratelli Montgolfier, la macchina a vapore di Watt, la chimica di Lavoisier, il vaccino anti-vaioloso di Jenner. Tutto ciò avvenne anche grazie all’affermazione dell’empirismo, per cui ogni conoscenza deriva dall’esperienza. Per quanto riguarda, però, lo studio della mente, dei pensieri e delle emozioni, l’ermeneutica rappresentava il metodo più adatto per acquisire conoscenza: un metodo che non doveva comunque restare estraneo allo studio della natura.
  • Per i filosofi ermeneutici, infatti, lo studio empirico è importante, ma deve presupporre la riflessione ermeneutica nella fase della definizione del problema, delle priorità, della formulazione delle ipotesi e del disegno dello studio. Ad esempio, la riflessione sul valore della solidarietà può indirizzare la ricerca empirica verso la misura dell’efficacia di interventi volti a raggiungere componenti condivise del bene comune e indurre la medicina ad acquisire gli strumenti teorici e pratici per migliorare la qualità della vita.
  • La svalutazione perpetrata, invece, dagli empiristi nei confronti degli studi ermeneutici, tradizionalmente liquidati come insignificanti, rappresenta un ostacolo allo sviluppo scientifico della medicina, tanto più in un’epoca caratterizzata dalla diffusione delle malattie croniche.
  • Il medico, infatti, tradizionalmente si distingue per i suoi atteggiamenti pragmatici che lo legano ai segni e ai sintomi che rileva. Questo interesse preminente lo distoglie dall’attenzione per i sentimenti e le narrazioni, tutte questioni che considera proprie delle scienze psicologiche e sociali, da cui si tiene a debita distanza. Ma trascurare gli aspetti soggettivi della malattia nell’epoca della cronicità rischia di essere molto disfunzionale.

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  • Cap 7 sulle mistificazioni delle tecnologie fuori posto.

  • A proposito delle tecnologie fuori posto, si possono fare degli esempi.  L’aziendalizzazione ha significato trasferire alla sanità concetti, metodologie e strumenti tipici delle aziende che operano sul mercato. Risponde, quindi, a una concezione sbagliata dei servizi sanitari perché non sono tanto un settore importante dell’economia di mercato, ma un elemento essenziale di un sistema di sicurezza sociale.
  • Anche la tecnologia, in sanità, si è snaturata. Dovrebbe aiutarci a rispondere ai veri bisogni di salute, tenendo conto di rischi, benefici e costi. Invece mira a moltiplicare domande e prestazioni nel mercato della salute. Per questo si parla di tecnologia “fuori posto”. Essa è stata, infatti, trasferita dal settore aziendale all’ambito delle professioni di aiuto, del welfare, del sistema di sicurezza sociale senza modificarne l’anima: la 3’ componente della tecnologia, ossia gli scopi per cui è usata, i campi di applicazione, le caratteristiche delle persone che possono giovarsene (le indicazioni).
  • La tecnologia possiede sempre questa terza componente che si aggiunge all’hardware e al software. Lo scopo è diventato espanderne l’utilizzo per migliorare il bilancio aziendale. I costi marginali, infatti, diminuiscono progressivamente col numero delle prestazioni, mentre i ricavi marginali restano sempre uguali alle tariffe previste. Perciò, moltiplicando le prestazioni, si aumentano i profitti.
  • Anche i bilanci aziendali, per come sono concepiti, snaturano fortemente la sanità perché occultano completamente quello che dovrebbe essere il vero scopo delle prestazioni sanitarie: i guadagni di salute.

 Si conteggiano, infatti, con minuzioso dettaglio, i costi e i ricavi. Non si conteggiano, però, tutti i costi, ma solo i costi diretti. Vengono dimenticati i costi indiretti e quelli intangibili. E nemmeno si tiene conto di ciò che succede prima dell’ingresso in ospedale e di quello che succede dopo la dimissione. 

  • I benefici, ossia i guadagni di salute, non compaiono nei bilanci aziendali. Eppure rappresentano lo scopo dei servizi, ciò che ne legittima l’esistenza.
  • E in linea coi bilanci aziendali si collocano gli incentivi di risultato assegnati agli operatori. Si tratta di benefici monetari legati al raggiungimento di risultati che quasi mai hanno a che fare con la salute dei cittadini. Si suole far leva sul  più bieco comportamentismo. Ma come dovrebbe essere l’impianto di un sistema premiante? Le gratificazioni maggiori hanno poco a che fare con i premi in denaro, una volta che si sia ricompensati con stipendi dignitosi e non ci siano differenze di trattamento a parità di responsabilità. Le gratificazioni hanno a che fare, invece, con l’identità e la significatività del ruolo, con la gamma di abilità esercitate e con il feed back restituito da colleghi e superiori in merito al lavoro effettuato.
  • Conclusione: qualsiasi tecnologia per mantenere senso non può essere separata dalla natura dei problemi cui viene applicata, dai principi e dai valori cui deve ispirarsi il suo utilizzo, dagli scopi che deve conseguire, dalla rete di sostegno in cui deve essere armonicamente incastonata (es. per un farmaco la presenza di luoghi in cui lo distribuiscono, di medici in grado di sapere quando prescriverlo, di cittadini che hanno fiducia nel loro medico…).

  • Cap 8 cosa fare per il SSN?
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  • 1 riconoscere l’importanza del modello bio-psico-sociale che descrive ciò da cui dipende la salute. Da questo modello oggi emerge con sorprendente vigore il peso delle disuguaglianze;

  • 2 riconoscere l’importanza delle azioni intersettoriali;

  • 3 passare da interventi incrementali a interventi di più largo respiro;

  • 4 non separare la sanità dall’assistenza sociale. Il diritto alla salute diventa esigibile quando corrisponde con una domanda di prestazioni sanitarie. Ma se la distinzione può essere giustificata, la separazione è sbagliata perché non tiene conto delle conseguenze sociali dei problemi sanitari e delle conseguenze sanitarie dei problemi sociali;

  • 5 a proposito della sostenibilità finanziaria si deve riflettere sui criteri di priorità e sull’appropriatezza delle prestazioni;

  • 6 occorre prestare attenzione al corretto uso delle tecnologie. Lo scopo del loro utilizzo va sempre accuratamente definito.

  • Conclusioni

  • La politica non può appiattirsi nella gestione corrente e in piccoli cambiamenti incrementali. Deve restituire alla sanità e alle professioni di aiuto il senso che è stato progressivamente sottratto. Tutto questo, però, non può che passare attraverso la condivisione di una diversa concezione di tante idee, a partire da quella di essere umano, di servizio sanitario e di tecnologia.