Atul Gawande. Essere Mortale. Einaudi, Torino, 2016.
Ci insegnano a salvare le vite. Siamo impreparati a confrontarci con l'invecchiamento e la fragilità. I progressi scientifici hanno trasformato i processi di invecchiamento e la agonie in esperienze mediche da gestire professionalmente, ma siamo impreparati a farlo.
L'esperienza dell'invecchiamento avanzato e della morte ha come sedi elettive gli ospedali e le case di riposo.
Siamo vittime del nostro rifiuto di accettare l'inesorabilità del ciclo vitale. Negli ultimi giorni di vita subiamo terapie che stordiscono la mente e minano il corpo in cambio di minime probabilità di beneficio. Li passiamo isolati in strutture anonime e privi delle consolazioni più essenziali.
cap 1
Nelle società contemporanee la vecchiaia e l'infermità hanno smesso di costituire una responsabilità multigenerazionale condivisa. Hanno acquisito lo status di una condizione più o meno privata. L'età avanzata ha ormai smarrito il suo valore di eccezionalità. Oggi solo il 10% degli ultra-ottantenni vive coi figli, quasi la metà vive completamente sola, senza nemmeno il coniuge. Questo cambiamento è indice di un enorme progresso: si può vivere come si vuole, autonomamente. Spesso, all'atto pratico, la convivenza di più generazioni non corrisponde con l'immagine nostalgica che abbiamo in mente. La modernizzazione non ha declassato gli anziani, ha declassato la famiglia, infragilita dalla venerazione per l'indipendenza individuale. Prima o poi, però, l'indipendenza diventa impossibile. Irrompono disabilità e malattie.
cap 2
La medicina e la sanità pubblica hanno modificato la traiettoria della nostra salute nel tempo.
Anziché decadere a precipizio a causa di una qualche malattia letale, si è trasformata in un saliscendi legato a malattie croniche che vengono gestite. Non è un'unica malattia che conduce alla morte, ma l'indebolimento cumulativo dei sistemi corporei: perdita dei denti, artrite, tremori, Tia, osteoporosi, ipertensione, diabete.. Sono processi che possiamo rallentare, ma non arrestare.
I sudditi dell'impero romano avevano una vita attesa di 28 anni. Per la maggior parte della nostra storia la morte incombeva a tutte le età, senza particolari legami con l'invecchiamento. La genetica ha poco a che fare con la longevità. Il divario medio tra le date di morte di 2 gemelli è di circa 15 anni. Gli esseri umani smettono di funzionare allo stesso modo di tutti i sistemi complessi: casualmente e poco a poco. Subiamo i danni apportati da radicali liberi dell'ossigeno, da mutazioni casuali. Non dobbiamo più rinviare la discussione dei cambiamenti che la società dovrebbe attuare. Non pensiamo mai alla solitudine in cui vivremo gli ultimi anni. Per la medicina non è particolarmente attraente occuparsi di artrosi, ipertensione, diabete, ipoacusia... Per esempio, la cura dei piedi è particolarmente importante.
I 3 principali fattori di rischio per le cadute sono:
scarsità di equilibrio, assunzione di più di 4 farmaci prescritti, debolezza muscolare. Se sono presenti tutti e 3 la p annua di cadere sale quasi al 100%. In assenza, al 12%.
Qualità della vita significa libertà possibile dalle devastazioni della malattia e un livello sufficiente di funzionalità per partecipare alla vita sociale. I vecchi seguiti da medici geriatri e infermieri stavano meglio di quelli seguiti dai servizi tradizionali. Semplicemente si dedicavano a semplificare le cure. Tenevano sotto controllo l'artrosi, si assicuravano del taglio delle unghie dei piedi, che mangiassero a sufficienza, indagavano segnali allarmanti di isolamento. Eppure, vengono ridimensionati i reparti di geriatria. Il cittadino Usa passa, in media, 1 anno in casa di riposo.
Cap 3
La vecchiaia è una serie ininterrotta di perdite: l'udito, la vista, la memoria, gli amici più cari, le abitudini di vita.
Nel 1935 con la istituzione della previdenza sociale gli Usa seguirono l'Europa nella costruzione di un sistema pensionistico nazionale. Intorno alla metà del 900 i dottori diventarono eroi, e l'ospedale, da simbolo di malattia e sconforto, si tramutò in un luogo di speranza e guarigione.
Gli ospedali si diffusero e ricoverarono i malati e i disabili. Per liberare i letti degli ospedali il governo promosse la costruzione di residenze protette, separate, riservate ai malati bisognosi di lunghi periodi di riabilitazione. Furono, così, create le nursing home, la case di cura. Il successivo impulso allo sviluppo delle nursing home venne nel 1965 dalla istituzione di Medicare. La copertura assicurativa riguardava solo strutture conformi a determinati standard di sicurezza e assistenziali. Così le case di riposo ebbero un'impennata. Le case di riposo, come le prigioni e gli orfanotrofi sono delle istituzioni totali. Dormire, lavorare, divertirsi distrarsi non sono attività che avvengono in luoghi diversi, ma sempre nella stessa struttura , con la stessa autorità e gli stessi attori.
Sembra ci siamo arresi all'idea che, una volta smarrita l'autonomia fisica, una vita libera e significativa sia semplicemente impossibile. Abbiamo istituti che perseguono ogni obbiettivo sociale, come liberare i letti degli ospedali, alleggerire il carico che grava sulle famiglie, affrontare il problema della povertà degli anziani, tranne che condurre una vita che valga la pena di essere vissuta quando non siamo più autosufficienti.
Cap 4
Un requiisito fondamentale per non finire in casa di riposo è avere figli, soprattutto se femmine. La residenza assistita (assisted living) rispetto alla nursing home è oggi considerata come una sorta di tappa intermedia tra una sistemazione autonoma e una sistemazione in casa di riposo.
Unità abitative composte da camera da letto, soggiorno, cucina, bagno in cui gli anziani fragili avevano il massimo controllo possibile sulla loro vita e l'assistenza che sarebbe stata loro prestata (cibo, igiene personale, cure mediche). Chi prestava assistenza aveva la sensazione netta di trovarsi in casa d'altri..., e ciò cambiava completamente le relazioni di potere. Nessun anziano fragile doveva sentirsi istituzionalizzato.
Si dimostrò che i residenti non sacrificavano la loro salute in nome della libertà. Tutt'altro! La funzionalità fisica e cognitiva era migliorata. La piramide dei bisogni di Maslow mostra la transizione da quelli di base fino al bisogno di auto-realizzazione. Non si può passare a un bisogno di grado superiore fino a quando non si è soddisfatto quello precedente. I bisogni degli anziani sono diversi da quelli dei giovani. Gli orizzonti si restringono. Hanno più a cuore l'essere che l'avere e si concentrano più sul presente che sul futuro. Con l'avanzare dell'età le persone riferiscono una maggior ricorrenza di emozioni positive. Si apprezzano sempre di più i piaceri quotidiani e le relaziioni rispetto al successo, al possesso e alla conquista. Perché? Una spiegazione è che vivere è come un mestiere e acquisiamo calma e saggezza con l'aiuto del tempo. Un'altra spiegazione è, invece, che il modo in cui cerchiamo di passare il tempo dipende dalla quantità di tempo che percepiamo di avere ancora a disposizione. Tra i malati le differenze di età spariscono. Le preferenze di un giovane malato di Aids sono le stesse di un anziano fragile. Bisogna rendersi conto di questo. NDR vedi anche teoria prospettica delle decisioni.
Con il tempo fu un po' stravolta la concezione originaria di assisted living e prevalsero le preoccupazioni della sicurezza e della sopravvivenza su quelle dell'autonomia. E' difficile trovare un punto di equilibrio tra l'essere abbandonati a se stessi e l'essere istituzionalizzati. A complicare le cose, non esistono metodi validi per valutare il successo di una struttura residenziale nell'aiutare i residenti a vivere una vita gratificante. In materia di salute e sicurezza, invece, ci sono criteri più precisi (peso, glicemia, cadute...).
I figli vogliono per se stessi l'autonomia, ma, per i genitori anziani e fragili, la sicurezza. Finisce così che ai nostri vecchi non resta che questo: un'esistenza istituzionale sotto tutela, una risposta medica a problemi medicalmente irrisolvibili, una vita pensata per essere sicura, ma priva di interesse.
cap 5
Ci sono 3 principali piaghe nelle case di riposo: noia, solitudine e impotenza.
La cultura odierna ha trasformato la sicurezza in una priorità superiore rispetto al bisogno di vivere una vita buona, per quanto possibile autonoma, con un certo grado di controllo sulla propria esistenza. Dobbiamo fondare le nostre ragioni per vivere al di là dei nostri interessi individuali che sono spesso transitori, volubili, inappagabili. Più che il traguardo della autorealizzazione di Maslow (ndr ma l'autorealizzazione consisteva proprio in questo, secondo me) dobbiamo perseguire il desiderio di vedere altri individui raggiungere il proprio potenziale e aiutarli a riuscirci.
L'obbiettivo della medicina è circoscritto: il ripristino delle condizioni di salute, non il nutrimento dell'anima. Tuttavia, proprio alla medicina è stato affidato inconsapevolmente il compito di stabilire come dobbiamo vivere i nostri ultimi tempi di vita. E' un esperimento di ingegneria sociale affidare il nostro destino a persone abili nelle loro capacità tecniche più che per la capacità di comprendere i bisogni umani.
Un nuovo tipo di casa di riposo deve avere dimensioni umane. Una ricerca aveva concluso che in unità abitative di meno di 20 abitanti si sviluppavano minori tendenze all'ansia e alla depressione, più occasioni di socializzazione e amicizia, più interazioni col personale, un maggior senso di sicurezza. C'è bisogno di privacy e di vita comunitaria, di ritmi e schemi flessibili, della possibilità di stringere relazioni di affetto con chi ci circonda.
Il fatto di aver bisogno di aiuto nella vita quotidiana non deve necessariamente sacrificare la propria autonomia: la capacità di esercitare un controllo, per quanto possibile, sulla vita ed esprimere delle scelte.
Bisogna trasformare la cultura medicocratica che si è diffusa nelle case di riposo. Le green house non hanno mai più di 12 posti, sono accoglienti e familiari come una casa. Si assegna un ruolo centrale ai pasti conviviali, all'atmosfera domestica e all'assistenza reciproca. Il personale è di tipo generalista: prepara i pasti, pulisce, aiuta per le varie esigenze. I vecchi fragili non cercano ricchezza o potere, ma amano continuare a plasmare la loro storia e mantenere i contatti con il prossimo secondo le loro priorità.
Cap 6
Un principio condivisibile ci dice che quando, per problemi di età o salute le capacità delle persone decadono, se vogliamo migliorare la loro qualità di vita dobbiamo contenere gli imperativi di tipo prettamente medico e resistere, quindi, al nostro bisogno di armeggiare, riparare, controllare. Ma la questione difficile è stabilire quando si dovrebbe smettere di tentare di riparare. Se si ha un tumore metastatico, cosa si deve fare? Sapere valutare il momento giusto in cui fermarsi non ha solo importanti implicazioni economiche. Nel caso del cancro la tendenza della spesa assume un forma ad U: elevata all'inizio, poi ridotta e, nel caso di un esito letale, si impenna alla fine. Si ricorre a tracheotomia permanente, tubo per l'alimentazione, catetere per la dialisi. La ventilazione meccanica, la terapia intensiva rappresentano un fallimento che degrada la qualità della vita nelle ultime fasi esistenziali.
Gli studi dimostrano che i malati terminali vogliono evitare di soffrire, stare vicini a familiari e amici, mantenere la lucidità mentale, non essere di peso agli altri e riuscire a dare un senso di completezza alla propria esistenza. Il sistema attuale è inadatto a soddisfare queste esigenze e il costo di questo fallimento non può essere misurato solo in denaro. Il vero problema non è come riuscire a rendere sostenibile l'attuale sistema, ma come assicurare un'assistenza che aiuti le persone a ottenere ciò che è più importante per loro alla fine della vita. In passato, l'intervallo di tempo tra una diagnosi potenzialmente letale e la morte era il più delle volte questione di giorni o settimane. Oggi la morte arriva solo al termine di una lunga lotta contro una malattia inguaribile: un tumore avanzato, una demenza, il morbo di Parkinson, un'insufficienza d'organo progressiva o, semplicemente, l'accumulo delle debilitazioni della vecchiaia estrema. la morte è certa ma i tempi sono variabili.
La scienza medica ha posto il problema di come fare a morire. La differenza tra l'assistenza medica tradizionale e quella dell'hospice risiede nelle priorità. Nella medicina tradizionale la priorità è prolungare la vita sacrificandone anche la qualità; per l'hospice la priorità è aiutare i malati a vivere una vita la più gratificante possibile. Esempio di dispositivi:
pompa antalgica munita di un pulsante, letto ortopedico elettrico, comfort pack da conservare in frigorifero con dose di morfina, lorazepam per attacchi di panico, proclorperazina per la nausea, aloperidolo per il delirio, paracetamolo per febbre, atropina per ridurre le secrezioni delle vie respiratorie superiori.
Attenzione a chemioterapie che hanno una p infinitesimale di alterare il decorso della malattia e una p elevata di provocare effetti debilitanti. I medici non sono molto accurati nella valutazione della prognosi. Spesso la sovrastimano. Poi ci sono problemi di comunicazione. Non nascondono l'inguaribilità, ma sono restii a frustrare le aspettative dei malati perché la speranza deve essere l'ultima a morire. Ndr la questione vera è cercare di orientare l'oggetto della speranza. Non si deve mirare al miracolo, ma a qualcosa di raggiungibile.
Noi, invece, tendiamo a costruire un sistema costosissimo per dispensare l'equivalente sanitario dei biglietti della lotteria. Al contrario disponiamo solo di sistemi rudimentali per preparare i malati al fatto quasi certo che non si vincerà alla lotteria. Non possiamo costruire un progetto sulla base della speranza in un miracolo. E' raro che i medici dicano che non c'è più nulla da fare. C'è sempre qualcosa da fare, ma diverso da quanto sono soliti propinarci: farmaci tossici di efficacia sconosciuta, operazioni per rimuovere parte dei tumori, inserimento di un tubo per l'alimentazione, ...
Quando non decidiamo, le opzioni di défault vanno nella direzione di fare qualcosa. Si ha paura di omettere qualcosa.
Solo una minoranza di pazienti interrompe le terapie finalizzate alla guarigione in favore di quelle palliative. E se lo fa, lo fa solo negli ultimi giorni. Peccato perché chi accede alle cure palliative ricorre al PS la metà delle volte, utilizza ospedali e terapie intensive in meno di 1/3 dei casi rispetto al gruppo di controllo.
E' per via del potere della parola, per l'importanza di discutere di obbiettivi e priorità.... nel caso in cui le condizioni peggiorassero. In uno studio sperimentale il gruppo delle cure palliative ebbe una sopravvivenza del 25% più lunga. La morale è che si vive più a lungo quando si smette di cercare di prolungare l'esistenza.
Saper parlare di questi problemi è una competenza sofisticata, al livello dei più complessi interventi chirurgici. Spesso si sbaglia perché l'obbiettivo del colloquio non è spiegare i fatti e le alternative, ma aiutare le persone a superare la paura da cui sono travolte: della morte, del dolore, delle spese...
Arrivare ad accettare la propria mortalità è un processo che richiede tempo, così come riconoscere i limiti e le possibilità della medicina. (vedi pag 174 domande)
I momenti critici sono quando la chemioterapia smette di funzionare, quando c'è bisogno dell'O2 a casa, quando l'insufficienza d'organo continua a peggiorare, quando diventiamo incapaci di vestirci da soli.
La medicina deve combattere contro la malattia e la morte. Ma nel caso in cui la lotta sia persa, è folle combattere ad oltranza. Ci sono altri problemi da affrontare che richiedono abilità e competenze altrettanto importanti, per le quali spesso non siamo preparati.
Cap 7
Lo sviluppo sanitario dei Paesi segue 3 fasi che accompagnano lo sviluppo economico.
Nella prima fase la maggior parte delle morti avviene a casa. Quando lo sviluppo cresce c'è un maggior uso dei servizi che vengono utilizzati anche al termina dell'esistenza.
Nella fase più alta dello sviluppo c'è una maggiore attenzione alla qualità della vita: il numero dei decessi in casa torna a salire. Ad esempio, il 45% dei cittadini Usa deceduti nel 2010 è morto in regime di hospice, per metà a domicilio, per l'altra metà all'interno di una struttura di ricovero.
La fase finale dell'esistenza si presenta il più delle volte come una serie crescente di crisi. In queste circostanze non ci si può aggrappare alle abitudini che hanno definito la tua identità, ma bisogna riprogettare la vita.
L'autonomia consiste nel poter controllare quello che si fa nelle circostanze che ci vengono date, nel giocare al meglio la nostra partita anche se abbiamo in mano delle pessime carte. I medici subiscono la pressione di fare di più, perché l'errore che i clinici temono maggiormente è di fare troppo poco, di omettere qualcosa. Non si rendono conto che si può sbagliare anche nel fare troppo. Per un esempio di aiuto dell'hospice vedi pag 215-219
Cap 8
IL CORAGGIO è la forza di fronte alla conoscenza di ciò che si deve temere e ciò che si deve osare. E la saggezza è una forza prudente, è sapere tenere conto delle circostanze specifiche in cui ci si trova. E' decidere se devono prevalere le paure o le speranze.
Il coraggio implica, quindi, la forza di volere sapere la verità, per quanto amara e di agire sulla base di ciò che abbiamo saputo.
Per gli esseri umani la vita ha un senso perché è una storia. La storia ha un significato nel suo insieme. La sua traiettoria è segnata da momenti significativi con alta intensità emozionale. Ci sono picchi di felicità e abissi di miseria. Il significato della nostra storia complessiva è influenzato da come le cose vanno a finire. Il finale conta, anche se non è l'unica cosa importante. Ndr altrimenti le nostre storie sarebbero, più o meno, tutte fallimentari (la metà di noi muore in ospedale).
Abbiamo un certo margine per plasmare le nostre storie, anche se, con il passare del tempo, si restringe sempre di più la gamma delle possibilità. Gli anziani hanno altre priorità oltre alla sicurezza e al prolungamento della vita. Per dare significato alla vita è fondamentale poter plasmare la propria storia. A questo fine dobbiamo riconfigurare le nostre istituzioni, la nostra cultura e le nostre conversazioni.
C'è un dibattito sul suicidio assistito (problematico) e sulla desistenza terapeutica (accettabile). Si tratta di stabilire quale sia l'errore più temibile tra prolungare la sofferenza e abbreviare una vita preziosa. Il nostro obbiettivo primario non è una buona morte, ma una buona vita fino alla fine. La vita assistita è molto più difficile della morte assistita, ma ha anche potenzialità straordinariamente più grandi. Ad esempio, l'obbiettivo dell'hospice è offrire al paziente il miglior giorno possibile, comunque possa essere definito date le circostanze. Es letto ortopedico con materasso ad aria, wc portatile. Per il dolore: morfina, gabapentin, ossicodone e, per contrastare lo stato stuporoso indotto dagli analgesici metilfenidato.
Le persone vogliono condividere i ricordi, trasmettere saggezze e oggetti personali, definire le relazioni, fare pace con Dio e assicurarsi che chi resta non abbia problemi. Questo è il ruolo del morente. Ma per ottusità ed incuria sembra facciano di tutto per negare la possibilità di ricoprirlo.
Epilogo
Essere mortali significa sopportare i limiti intrinseci alla nostra natura. Il lavoro del medico non consiste nell'assicurare salute e sopravvivenza. Sarebbe troppo riduttivo. E' permettere il benessere, uno stato che ha a che fare con le ragioni per cui si desidera vivere. E queste ragioni non sono importanti solo alla fine della vita, ma lungo tutta l'esistenza, ogni volta che siamo colpiti da una malattia o da una lesione grave. Gli interventi medici, con i rischi e sacrifici che comportano, sono legittimati solo dal servire i più vasti scopi della vita di una persona.
Dobbiamo aiutare gli altri ad affrontare non solo ciò che la medicina è in grado di fare, ma anche quello che non è in grado di fare. Noi siamo come l'anello di una catena di storie antiche di migliaia di anni.