Introduzione
Ci sono molti luoghi comuni sulla morte smentiti dai dati fattuali. E' frequente l'abitudine di confrontare ciò che succede oggi con quello che accadeva in passato per mettere in evidenza i cambiamenti intervenuti. Ad esempio, lo si fa a proposito della familiarità con la morte (molto maggiore prima), della comunicazione (l'imbarazzo a parlarne dipende anche dal fatto che il significato della morte è cambiato. Essa non rappresenta più la transizione verso un nuovo stato dell'esistenza, ma la fine di ogni progetto, secondo Bauman). Invece non è vero che la comunicazione sulla morte sia diventata un tabù, né che le menzogne al suo riguardo siano una caratteristica dei nostri giorni (ad esempio si veda Tolstoy in La morte di Ivan Illic).
1 Epidemie Boccaccio e Manzoni descrissero un'epidemia di peste rispettivamente nel 300 e nel 600. Falcidiò dal 25 al 50% della popolazione. Fu più grave nelle città più densamente popolate. Dalla metà del 300 la peste divenne endemica e le epidemie scoppiarono con regolarità ogni 12 -13 anni. Da metà 700 scomparve dall'Italia. Si pensava comunemente che dipendesse dai peccati degli uomini e dalla conseguente punizione divina. NDR già Esiodo col miti del vaso di Pandora aveva offerto una diversa interpretazione relativamente alle cause delle malattie e delle disgrazie umane... In alcune città, a metà del 400, si costruiscono ospedali speciali, i lazzaretti per evitare di contagiare gli altri ricoverati. Il primo fu fondato su un'isola di Venezia. Il 30% circa di quelli che entravano al lazzaretto si salvava. I morti venivano sepolti nelle fosse comuni. Il colera comparse in Russia alla fine degli anni 20 dell'800 e poi raggiunse anche Francia e Italia. Fu Snow a capire che dipendeva dall'acqa e non dall'aria. Poi furono Pasteur (1863 teoria dei germi) e Koch (1883 a scoprirne la causa). Veniva curato con lassativi, sanguisughe, salassi. Il malato, se povero, veniva curato in ospedale; se ricco, a casa. Il colera fece molti meno m orti rispetto alla peste. L'ultima epidemia (ci fu però l'AIDS nei primi anni 80) fu dovuta alla spagnola nel 1918-19 con più di 50 milioni di morti (circa 14 milioni ne aveva fatti la guerra)
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Nel 1887 (fine 800) il 93% dei decessi avveniva a casa e il 7% in un istituto pubblico. Accadevano a casa con minor frequenza nelle città e al Nord. La metà dei ricoverati in ospedale era afflitta da malattie croniche. Gli ospedali, in un primo tempo, erano più orientati a ospitare i pellegrini e i bisognosi che a curare i malati. Alla fine del 600 si iniziò a separare i malati dai poveri. L'ospedale era un luogo molto pericoloso. In alcune zone del meridione l'uso del lamento funebre gratuito dura ancora oggi. I contadini quando pensavano che non ci fosse più nulla da fare cercavano di abbreviare l'agonia. In Sardegna c'erano delle donne, chiamate accabadore (si servivano di una mazza o di un martelletto).
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Dalla metà del 500 le norme dei diversi stati italiani prevedevano che i vari curatori popolari richiedessero l'autorizzazione all'esercizio professionale. Nel 1888 il parlamento italiano regolamentò l'esercizio delle professioni sanitarie. Emblematica, in fatto di diffidenza e ostilità contro medici e sanità pubblica fu la distribuzione del chinino nel 1904 contro la malaria. Poco meno della metà dei 25 milioni di abitanti era a rischio malarico. Eppure la gente pensava che si trattasse di un imbroglio. Erano, infatti, abituati a convivere con la malaria che non consideravano come una malattia. Nel 900 inoltrato i medici, grazie ai progressi tecnici-scientifici conquistarono il monopolio nell'arte del guarire. Ma dal 1970 si diffuse la critica che i medici, curando la malattia, si dimenticano dei malati.
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All'inizio del 700 esisteva l'obbligo, per i medici, pena la scomunica, di avvertire i parroci dell'infermità dei loro malati e la proibizione di visitarli se non si confessavano entro 3 giorni. L'anima è più importante del corpo: il sacerdote andava chiamato prima del medico. Nel codice deontologico del 1989 il medico può non rivelare al malato una prognosi infausta o attenuarla, ma la deve comunicare ai familiari.
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Solo negli ultimi decenni dell'800 l'ospedale diventò un ambiente più sicuro della casa, per la partoriente, in seguito ai progressi nella microbiologia, nell'igiene e nelle pratiche medico-chirurgiche. Verso fine 800 fu Lister a introdurre la disinfezione con acido fenico. Nonostante ciò, a metà del 900, in Italia partorivano in ospedale solo 20 donne su 100. Di pletora medica si parlava già nel 1927. Nel 1958 le competenze della sanità furono trasferite dal ministero degli interni al ministero della sanità. IL quadro è quello delle cannule dell'ossigeno nelle narici, flebo nel braccio e catetere nell'uretra. Esistono delle traiettorie di malattia ben definita. Bisogna studiarle meglio per potere fare previsioni più accurate. L'Italia è uno dei Paesi in cui si muore più frequentemente a casa e dove non esiste una sostanziale differenza riconducibile alle traiettorie. E' dovuto alla solidità dei legami familiari. Oggi esiste anche l'aiuto delle badanti. L'ospedalizzazione dei decessi ha raggiunto un massimo verso il 2010, ora tende a diminuire. Dal 57% è scesa al 40% circa, anche perché sono aumentate le morti in hospice. Si parla di accanimento terapeutico o di futilità delle cure. La quota di malati di cancro sottoposti a chemioterapia nel corso dell'ultimo mese di vita è un indicatore di inappropriatezza. Ma il problema è quello dell'accuratezza della prognosi: nulla di più difficile. Il nostro Paese non brilla riguardo al contenimento dell’inappropriatezza della chemioterapia (17,5% contro Belgio, Usa, Olanda, Germania, Canada, Norvegia <5%). pag 177 Si è modificata la definizione di dolore cronico. E' giudicato tale non perché superi una certa soglia di durata, ma perché la causa che lo provoca non è modificabile. Oggi, inoltre, non è più considerato solo un sintomo, ma se è moderato o grave è visto come una malattia. Lo stimolo doloroso, se non è immediatamente diagnosticato ed eliminato può causare importanti modificazioni patologiche a livello di midollo spinale e corteccia cerebrale che trasformano la sua natura da sintomo a malattia. La terapia va personalizzata non solo in base all'intensità, ma ai tempi e alle modalità di comparsa e di diffusione del dolore. La legge del 2010 ha consentito al medico di famiglia di ultilizzare il ricettario normale. I medici italiani sono quelli che prescrivono meno i farmaci oppioidi contro il dolore e fanno ampio uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei come aspirina e ibuprofene. Oppioidi deboli= codeina e tramadolo Oppioidi forti= morfina, oxidone, idromorfone, fentamil.
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Una parte di medici continua a pensare che il suo compito sia guarire le malattie, combattere la morte e prolungare l'esistenza. Quando medici di questo tipo si convincono che non resta nulla da tentare si ritirano e si occupano d'altro, lasciando in solitudine il morente in campo di battaglia. La metafora che meglio si avvicina a questo modo di intendere la medicina è quella della guerra... E, invece, ci sono mille cose da fare anche da un punto di vista medico per accompagnare degnamente il malato anche quando non si può prolungare la vita. Nascono le cure palliative (hospice nasce nel 1967 da Cicely Saunders) in risposta sia alla insensibilità della medicina che ai costi e alle sofferenze inuitili sostenute nelle ultime fasi della vita. 20 anni dopo (1987) la medicina palliativa fu inserita per la prima volta tra le materie di insegnamento universitario. Nacque, poi, l'associazione dei medici e la loro rivista. Il coktail contro il dolore, utilizzato fin dalla fine dell'800 include morfina codeina e alcol. Nel 1976 a Milano si istituisce la fondazione Floriani presso l'istituto tumori di Milano, la prima unità di cure palliative domiciliari (5 infermieri e 4 medici). A livello nazionale il piano sanitario 1999-2000 si occupò di cure palliative per malati terminali, prioritariamente oncologici. Si ipotizzava una ripartizione del 25% in hospice e del 75% a domicilio. Si stima che nel 2014 abbia fruito delle cure palliative circa il 14% dei deceduti in Italia. In Italia il flusso verso l'hospice proviene per i 2/3 dall'ospedale e per 1/3 da casa. Esistono hospice ospedalieri e altri territoriali, gestiti dal 3' settore senza o con la collaborazione di enti pubblici. In Italia la degenza media negli hospice è di 21 gg. I risultati della ricerca sperimentale dicono che le cure palliative precoci (anche 2-3 anni prima di morire) in cui l'oncologo viene affiancato dal palliativista, procurano una migliore qualità di vita e delle terapie meno aggressive.
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Nel mondo anglosassone, alla fine degli anni 70, il 98% dei medici intervistati era propenso a dire la verità ai malati di cancro. Anche perché non si prospettava, per il malato cronico, una morte prossima, ma ci si aspettava una sopravvivenza più prolungata, per cui diventava cruciale una corretta comunicazione. In Europa, soprattutto in quella meridionale, era, invece, diverso. Oggi la questione non è di comunicare o meno la verità. Dire la verità va considerato un dovere. Bisogna a tutti i costi evitare la congiura del silenzio. Il punto importante è come comunicarla. La speranza va mantenuta sempre accesa, a differenza della illusione che conduce a scelte irrealistiche e impedisce, attraverso una catena di inganni e sotterfugi, di giovarsi di una buona qualità di relazione alla fine della vita. La speranza permette, comunque, di adottare decisioni consone con le condizioni reali del malato. Il paziente deve acquisire la consapevolezza non tanto del tempo che gli rimane da vivere, anche perché sembra facile sbagliare sulla prognosi, ma del fatto che, comunque, vadano le cose, non sarà mai abbandonato. Nel 2001 fu ratificata la convenzione di Oviedo dal parlamento italiano sul consenso libero e informato. Rappresenta la base per un rapporto più simmetrico. Il personale sanitario lamenta 2 conseguenze negative: 1 una crescita eccessiva del tempo impiegato per la compilazione di moduli prestampati 2 aumento del contenzioso, denunce, sentenze di tribunale
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Nel 1901 il dottor Alzheimer descrisse il primo caso in una sua paziente di 50 anni. E' la forma più diffusa di demenza, più frequente nelle donne (sono 2/3 dei casi), ma sembra per via della speranza di vita più lunga. Dura dai 7 ai 10 anni. Nella terza fase, dal 5' anno in poi, sono completamente dipendenti. Soffrono di incontinenza urinaria, fecale, non camminano più, hanno spesso difficoltà a deglutire. I care givers sono sottoposti a un onere molto maggiore che per altre malattie. Si calcola che nella fase moderata di malattia si richiedano circa 113 ore di assistenza al mese per care giver e, nella fase avanzata, circa 300. Eppure, in Italia, solo circa 1/3 dei decessi avviene in ospedale. Ciò riflette la tendenza presente anche per le altre malattie. Oggi 30% ospedale, 30% Rsa, 40% casa. Oggi si consiglia Hospice anche per A., ma ci sono maggiori difficoltà a individuare l'inizio della fase terminale (ultimi 6 mesi di vita). Subiscono la piaga della inappropriatezza: 71% aveva assunto antibiotici nell'ultimo mese di vita; 42% aveva subito qualche forma di diagnosi e trattamento di emergenza, inclusa la rianimazione cardio-respiratoria; 20% era stato sottoposto a alimentazione artificiale (sondino o Peg (gastrostomia percutanea)
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In Italia c'è una situazione eterogenea. Nel 2014 sono morti nel proprio letto l'11% dei deceduti residenti nel comune di Cremona e il 75% di Enna. Nel sud ancora oggi ci sono le congregazioni, le confraternite che offrono anche una specie di supporto domiciliare. Fino a non molto tempo fa in meridione era considerato disonorevole morire in ospedale perché significava povertà e assenza di legami sociali.
Conclusioni
I culti dei morti, pur nelle loro diverse forme, hanno sempre voluto significare che i legami con i defunti continuano, non sono interrotti. Morire vicino ai propri cari è l'aspirazione di chi vuole dare e ricevere amore, essere accompagnato nell'ultimo cammino, lasciare a chi resta il senso di ciò che conta realmente nella vita.