In un’epoca in cui globalizzazione e mercato sono visti come garanzie per la “crescita”, e si riduce il ruolo dei governi al controllo dei bilanci e dell’inflazione, diventa necessario sviluppare una cultura critica, ridiscutere sui modelli di sviluppo e su come riformare il capitalismo.
Cap 1 L’illusione capitalista
Le scelte degli elettori sono condizionate dalla percezione dello stato di salute dell’economia. Dovremmo, perciò, riflettere sull’idea che abbiamo di economia e su ciò che la migliora o la peggiora. Si è sempre creduto che per stimolare la crescita economica bisogna tenere sotto controllo il debito pubblico e ridurre i meccanismi regolatori della libera iniziativa economica. E si è sempre creduto nell’immutabilità del capitalismo. A consolidare l’idea che il capitalismo non sia un sistema riformabile hanno contribuito Marx e Engels e i successivi marxisti che lo volevano sostituire col socialismo. Pensavano che il capitalismo non potesse essere riformato. Occorreva una rivoluzione. L’illusione principale è che il capitalismo sia un sistema autonomo. Ciò comporta una tensione tra capitalismo e democrazia, in quanto la maggioranza potrebbe volere una eccessiva pressione fiscale o regolamentazione e, così, arrivare a danneggiare l’economia. Sempre nell’ambito delle illusioni, la società deve enfatizzare l’importanza di perseguire il proprio interesse e accumulare ricchezze. Il funzionamento del capitalismo, inoltre, si fonda su basi micro-economiche per cui ogni attore persegue il proprio interesse nel contesto di rapporti di proprietà che premiano chi fa investimenti produttivi. La teoria sociale del capitalismo consacra, in questo modo, una sorta di determinismo economico privo di dubbi o di remore. Va notato che il pensiero di Marx veniva messo all’indice dall’opinione pubblica proprio per via del determinismo economico: il fatto di attribuire all’economia un potere così forte da determinare lo sviluppo della società finiva per sottovalutare il ruolo della politica, della religione e della cultura. E’ perciò sorprendente che nel caso della teoria sociale del capitalismo il determinismo economico sia oggetto di vasto consenso e che teorie alternative che lo mettono in discussione siano ininfluenti sull’opinione pubblica. E questo avviene nonostante la differenza e la variabilità che distinguono le società basate sul profitto capitalistico (es. Usa e Germania). Come si spiega? In seguito alla grande depressione del 29 le teorie keynesiane sull’intervento statale in economia a sostegno della piena occupazione e per rimediare alle storture proprie del libero mercato furono coronate da successo. Ma negli anni 70 la persistente bassa crescita economica, l’inflazione e elevata disoccupazione non erano previste coesistere insieme. La stag-flazione minò la credibilità dei keinesiani e riabilitò Friedman e i suoi seguaci. Questa visione del capitalismo ha fatto breccia tanto nella coscienza delle elite quanto nella percezione dell’opinione pubblica. In sintesi, l’erronea teoria sociale del capitalismo altera la nostra percezione della realtà rendendo più difficile individuare i mutamenti istituzionali necessari a livello locale, nazionale o globale per fronteggiare le crisi che ci affliggono. Occorre, perciò, offrire una convincente teoria alternativa. Va criticata radicalmente l’idea di economia come sistema autonomo in grado di autoregolarsi per funzionare. Vanno valorizzati i contributi dei sociologi economici contemporanei. Bisogna rifarsi alla teoria post-industriale, investire nella qualità dell’aria, dell’acqua e nella creazione di spazi urbani più vivibili e piacevoli.
Cap 2 Elaborare un’alternativa
La parola capitalismo rimanda a una teoria sociale che considera l’economia di mercato come un’entità autonoma e coerente che risponde a una propria logica interna, secondo proprie leggi. Ma il capitalismo non vive in virtù delle proprie leggi interne, non è una forza egemone priva di alternative. Perciò si possono studiare riforme politiche ed economiche del capitalismo, pur nell’ambito della cornice di un’economia regolata dalla proprietà privata e dalla logica del profitto economico. Esistono ampi margini di manovra per stabilire la portata degli interventi statali in economia e quali livelli di disuguaglianza possono essere accettati. Ad esempio, i mercati sono condizionati dai sistemi giuridici e dai rapporti di fiducia esistenti. Non ci può essere una separazione tra Stato e mercato in analogia a quella che ci deve essere tra Stato e Chiesa. Anche la produttività influisce. Essa è molto aumentata in agricoltura e nel settore manifatturiero. C’è bisogno di un minor numero di lavoratori per produrre ciò di cui abbiamo bisogno. Tanto è vero che oggi l’80% della popolazione lavora nei servizi negli Usa. Siamo entrati in un’epoca post-industriale. Il passaggio storico dall’agricoltura all’industria e, poi, alla società dell’abitare, ha profonde implicazioni sull’organizzazione delle nostre società. Ad esempio, oggi si dovrebbe ricorrere a bilanci partecipativi per scegliere le infrastrutture prioritarie. Gli indicatori per misurare il grado di sviluppo economico sono ancora del tutto fuorvianti perché non contano ciò che conta di più.
Cap 3 L’illusione che la democrazia minacci l’economia
Lungo il cammino delle democrazie, in una prima fase, il diritto di voto fu limitato ai possidenti nel timore che le masse diseredate potessero imporre un’eccessiva pressione fiscale e limitazioni troppo rigide al libero gioco delle forze di mercato. Oggi, nelle dispute internazionale tra multinazionali e Stati si ricorre al giudizio di tribunali speciali che tutelano l’autonomia dell’economia capitalistica. Tutto ciò avviene perché si ritiene che la democrazia sia una minaccia per l’economia. Ma si verifica, invece, che quanto più radicata e diffusa è la democrazia, tanto meglio funziona l’economia. L’unica eccezione è rappresentata dalla Cina. Le nostre società tendono a trasformarsi in oligarchie. La democrazia ci protegge da queste derive. Fa sì che la competizione di mercato non diventi un gioco truccato. Tocqueville negli anni 30 dell’800 confrontò il sistema democratico degli Usa con l’oligarchia della Francia (nel suo libro “La democrazia in America”) per concludere che una maggiore eguaglianza e istituzioni democratiche favorivano negli Usa dinamismo e prosperità economica. La sovranità del consumatore, tanto decantata quando lo Stato, ad esempio, interviene per disincentivare il consumo di tabacco, di bibite zuccherate, di alcol e benzina, è di fatto problematica perché il mercato non è in grado di garantire a tutti l’accesso all’educazione, alle cure mediche, a un’occupazione e un reddito stabili e dignitosi. Questi diritti sono tutelati dagli Stati nelle loro Costituzioni. Chi li tutela meglio, come i Paesi del nord-Europa, ha registrato anche il migliore andamento dell’economia rispetto a chi ha adottato politiche di austerità. A partire dall’elezione di Reagan, dagli anni 80 in poi, l’economia americana è diventata stagnante e meno produttiva. Una spiegazione è data dal fatto che l’economia di mercato è stata in gran parte sottratta dall’influenza della politica e delle istituzioni democratiche.
Cap 4 L’illusione che l’avidità sia un bene
Per i teorici del libero mercato non deve esistere la responsabilità sociale delle imprese perché il loro unico compito è massimizzare i profitti. Adam Smith la pensa diversamente. Nel suo libro “Teoria dei sentimenti morali”, sostiene che un insieme di valori morali condivisi costituisce la premessa obbligata per la costruzione di un ordina sociale. Per lui l’interesse personale presuppone una serie di vincoli di natura morale. A partire dagli anni 20 del 900 si afferma la produzione di massa cui si deve affiancare, tramite la pubblicità, anche il consumo di massa. Il cristianesimo prima e il socialismo dopo, dalla seconda metà dell’800, funsero da contrappeso all’influenza del mercato sulle nostre scelte di vita. Il capitalismo occidentale conobbe tra il 45 e il 75 del secolo scorso, la propria età dell’oro. Fu allora, infatti, che la dottrina socialista contrastò più efficacemente i valori dell’economia di mercato. Con l’ulteriore secolarizzazione della nostra società e la caduta del muro di Berlino (1989), però, né il comunismo né il socialismo costituiscono più una minaccia per la nuova religione che professa i valori e le idee del libero mercato. Per di più, l’ultima difesa della società, offerta dal sistema giudiziario, è stata seriamente compromessa. La violazione della legge è giunta al punto di essere punita sul piano penale solo se si appura l’intento esplicito di commettere atti criminali. E invece, gli uomini d’affari dovrebbero essere trattati alla stregua di tutti gli altri professionisti e tenuti ad attenersi a una serie di appropriati standard etici. Sicuramente tutto ciò che avviene in una società dipende da come agiscono i singoli individui. Ma ciò che decidono i singoli è condizionato dalle leggi, dalla cultura, dai vari contesti istituzionali. L’indebolimento delle regole etiche, giuridiche ed economiche capaci di arginare l’avidità e l’individualismo ha avuto conseguenze nefaste sull’economia reale. Le forti disuguaglianze che si sono prodotte in termini di reddito e ricchezza hanno superato i confini della decenza. Dobbiamo riscoprire i valori della condivisione, dell’aiuto reciproco, della pace, della sedazione dei conflitti per perseguire il benessere.
Cap 5 L’illusione di un sistema immutabile
Il capitalismo è nato nell’800 negli Stati Uniti, in Inghilterra e Francia. Da allora ad oggi queste società capitalistiche non sono rimaste immutate, ma hanno subito trasformazioni radicali. Il codice genetico è rimasto uguale: il diritto di proprietà privata e la centralità del profitto d’impresa. Ma l’ambiente è cambiato e interagisce diversamente con la natura del capitalismo in analogia a ciò che succede in biologia e ci insegna l’epigenetica. L’economia non costituisce la determinante più importante dei processi di sviluppo economico. Sono esempi di modelli contrastanti gli Usa e la Germania. Nel primo caso siamo in presenza di conflittualità tra capitale e lavoro e di tagli alla spesa sociale; nel secondo caso assistiamo a una cooperazione tra capitale e lavoro e a una spesa sociale più sostanziosa. Oggi, al contrario di ciò che avveniva fino agli anni 70, gli Usa sono stati surclassati nel sistema scolastico da altri Paesi che hanno investito meglio nella formazione dei loro studenti e nella formazione professionale. Attualmente la delocalizzazione ha meno senso rispetto al passato perché il costo del lavoro per i prodotti industriali più sofisticati, dalle auto agli elettrodomestici, rappresenta dal 5 al 10% del costo totale di produzione. Vengono imposte pessime condizioni contrattuali a personale sanitario e sociale che ha un ruolo fondamentale nel migliorare la qualità della vita di malati e disabili. Così si mina dalle fondamenta la missione di questi servizi. Ad esempio, in sanità, un modello di relazioni sindacali e di lavoro fondato sull’autorità della direzione e su rapporti conflittuali non può che sortire effetti controproducenti. Il numero delle persone che svolgono lavori manuali vitali si è talmente ridotto che ci si potrebbe permettere di retribuirle meglio e rendere più gratificante il loro lavoro.
Cap 6 L’illusione di un ordine globale
L’economia globale può essere riformata in linea con obbiettivi politici come la sostenibilità ambientale e una maggiore eguaglianza nella distribuzione di reddito e ricchezza tra le nazioni e tra le persone. Tramite gli accordi di Bretton Woods, nel secondo dopoguerra, si stabilirono dei controlli sui movimenti di capitale. E questo fu benefico. Tuttavia, le nazioni più potenti hanno sempre cercato di costringere quelle più deboli a cedere parte delle loro risorse: si tratta di una pratica antecedente alla nascita del capitalismo. Quando gli Usa avanzano l’argomento del libero commercio, in realtà premono per il riconoscimento da parte delle altre nazioni del monopolio dei colossi industriali americani, favorito dalle politiche del loro governo. La dichiarazione di Doha del 2001 garantisce ai governi la possibilità di onorare i diritti umani fondamentali in contrasto coi diritti riconducibili alla sfera della proprietà intellettuale (ma sembra che ce ne siamo scordati NDR). Una tassa dell’1 per centomila sulle transazioni finanziarie globali sarebbe in grado di contrastare attività finanziarie speculative, a vantaggio del benessere complessivo. Deve crearsi un’alleanza tra gli attivisti di tutto il mondo su ambiente, diritti di proprietà intellettuale, le regole di governo del sistema finanziario globale. C’è bisogno di nuovi assetti internazionali e nuove istituzioni politiche per fronteggiare crisi climatica, migrazioni di massa, bolle finanziarie, concentrazioni eccessive di reddito e ricchezza.
Cap 7 Oltre le illusioni
Per funzionare i sistemi di mercato hanno bisogno di limiti al perseguimento dell’interesse personale e dei singoli gruppi. Il mercato va reso compatibile con la democrazia, l’uguaglianza e la sostenibilità ambientale. Ci deve essere una reciproca sinergia tra politiche nazionali e riforme sul terreno globale. I fallimenti nei sistemi di mercato si leggono nella crisi ambientale, nella crisi dei rifugiati e nell’aumento delle disuguaglianze. Nonostante ciò la politica tace sulle soluzioni adatte a ristrutturare l’ordine globale esistente. Ma a quale modello di sviluppo dovremmo tendere? Piuttosto che dibattere su crescita o decrescita, occorre distinguere tra crescita quantitativa e crescita qualitativa. Quella quantitativa implica un aumento della produzione, del consumo e dell’uso delle risorse naturali. Quella qualitativa cerca di soddisfare i bisogni umani senza compromettere la sopravvivenza del pianeta. Per questo tipo di crescita il Pil non è lo strumento di misurazione adatto. L’assistenza sanitaria, il sistema educativo, l’aumento del tempio libero, le gratificazioni connesse col lavoro, la crescita della sicurezza economica e sociale, l’abitare in contesti più attraenti, migliorare, insomma, la qualità della vita non vengono monitorati dal pil. La crescita qualitativa ha poco a che fare col concetto prevalente di capitalismo che lo associa a una crescita economica senza limiti. Ad esempio, si potrebbero fare sconti fiscali alle aziende più sane, più sicure, con salari più dignitosi, presenza sindacale… La crisi attuale si manifesta sia come un eccesso globale di risparmio, sia in forma di liquidità che non si traduce in credito per gli investimenti produttivi. La risposta più adatta ai bassi tassi di interesse e all’eccesso globale di risparmio consiste nella crescita dell’indebitamento estero delle nazioni per mettere in sicurezza le loro infrastrutture, costruirne altre, accelerare la transizione energetica, aiutare le aree più povere del pianeta. Attraverso il debito si può alimentare la domanda. Ma bisogna che l’aumento del debito sia accompagnato da una sufficiente capacità da parte dei debitori di remunerare i debiti contratti. In un mondo caratterizzato da una forte concentrazione di reddito e ricchezza all’interno delle nazioni e tra le nazioni, è difficile che si sia in grado di remunerare i rispettivi debiti. Si può espandere in modo sostenibile il debito globale solo attraverso una distribuzione più equa della ricchezza mondiale prodotta (minori disuguaglianze e convergenza economica). Bisogna anche varare riforme del commercio internazionale e degli investimenti globali. Bisogna che i governi siano in grado di proteggere le industrie più giovani ed erigere barriere all’importazione di beni di lusso per non assottigliare le riserve di valuta estera. Occorre anche un piano di reddito globale garantito per sostenere il potere di acquisto delle persone più deboli e contenere il problema delle migrazioni. Si dovrebbe affidare a un’istituzione globale, ad esempio un’agenzia dell’Onu, il compito di insediarsi in una nazione per rendere operativo il reddito di base. Bisogna passare dalle imposte sul lavoro alle imposte sui consumi, distinguendo quelli di prima necessità dagli altri e da quelli di lusso. Possiamo scegliere quali modelli di sviluppo adottare. Possiamo ricostruire un’economia di mercato compatibile con la sostenibilità ambientale, con i valori della democrazia e della giustizia.