Presentazione.
L'indagine filosofica e quella scientifica hanno differenti validità. Non si può scadere nel riduzionismo scientifico (scientismo, biologismo) né nel filosofismo. L'indagine scientifica risponde alla domanda: che cosa è l'uomo in quanto prodotto della sequenza cieca dell'evoluzione? L'indagine filosofica risponde all'interrogativo: "Chi è l'uomo? Nel porre questa domanda siamo più interessati a questioni di identità piuttosto che a questioni di verità. L'interesse che ci guida, in questo caso, è quello che mira alla migliore interpretazione piuttosto che alla migliore descrizione (diversamente da quanto fa il riduzionismo). La filosofia si presenta come la persistente ricerca dell'interpretazione di noi stessi nel mondo, entro i vincoli che il principio di realtà ci offre e concede.
Prefazione
I filosofi non possono ignorare i risultati delle scienze positive, in particolare della biologia. A partenza dalla biologia la filosofia, ma anche le scienze umane, possono trovare l'occasione di una riflessione più profonda sulla verità e sull'etica. Non è però possibile fondare una nuova filosofia sulla scienza. Analogamente i biologi non possono disinteressarsi delle implicazioni filosofiche ed etiche del loro lavoro. Inoltre la biologia ci invita a riconsiderare il problema dei rapporti tra ciò che è innato e ciò che è acquisito, tra l'ereditarietà e l'ambiente. Lo fa in nome dei suoi progressi nell'ambito delle passioni e dei comportamenti. Alle tendenze materialistiche della biologia contemporanea e delle scienze umane si oppone la tradizione della filosofia della libertà: quella di Rousseau, di Kant, di Husserl in particolare. Essa si concilia con i risultati scientifici della biologia senza cedere al biologismo, senza degradare nella continuità tra natura e cultura, tra regno animale e mondo umano.
La questione del materialismo biologico e del materialismo storico.
Quanto gli uomini sono liberi di affrancarsi dalla storia, dall'educazione e dalla natura? Qual è il ruolo della creatività e dell'immaginazione? Ci si può emancipare dai condizionamenti? Noi non saremmo gli autori, ma i prodotti di una storia doppia: 1) da una parte quella della nostra classe sociale e della nostra famiglia; 2) dall'altra, quella della nostra eredità naturale e genetica. L'essere umano non possiede una storia e un corpo, ma è quella storia e quel corpo. La cosiddetta libertà sarebbe solo un'illusione dovuta alla complessità dei determinismi che governano, a nostra insaputa, la maggior parte dei nostri comportamenti. E questa complessità diventa tanto più grande in quanto questi 2 determinismi, quello storico e quello naturale, interagiscono continuamente. Noi, così, scambieremmo la nostra incapacità di conoscere e di prevedere con una forma di libertà. Il materialismo naturalistico e quello storico-sociologico vengono a dissipare questa illusione svelando i motivi inconsci che ci determinerebbero inesorabilmente. Lo fanno opponendosi agli insegnamenti delle grandi religioni e delle filosofie della libertà ereditate dall'illuminismo.
Materialismo.
Le idee religiose e filosofiche, i valori morali, i simboli estetici e culturali, le passioni, le scelte etiche ed estetiche sono prodotti e determinati dalla materia: dalla natura e dalla storia. Le grandi filosofie del sospetto, quelle di Marx, di Nietzsche e di Freud sono eccellenti illustrazioni del materialismo contemporaneo. Le idee e le norme sono ridotte a ciò che le genera in ultima istanza: la classe sociale e l'infrastruttura economica; gli istinti e le pulsioni; la libido. Il materialismo assume i suoi 2 fondamentali tratti caratteristici: 1) il riduzionismo dello specifico al generale, dell'umano al biologico e del biologico al materiale; 2) il determinismo: tutto viene determinato da meccanismi inconsci che il lavoro del pensiero ha il compito di illuminare. La storia e la natura, l'acquisito e l'innato sono i nostri codici. Il materialismo esercita una seduzione naturale sugli innamorati della verità: 1) perché è anche elitario: il suo lavoro si inquadra nella categoria del sospetto, della demistificazione e della ricerca di una verità nascosta; 2) perché ci raccomanda di non prendere le idee per oro colato, ma di partire dai fatti, dalle realtà "determinanti". Certo, non si può passare a lato delle scoperte scientifiche più significative di fine 900, ma concedendo troppo a queste scoperte si perde la specificità dell'umano.
Quanto c'è di innato e quanto di acquisito?
Quanto dipende dall'ambiente, dall'educazione, dalla storia; quanto l'epigenetico non fa che attualizzare il genetico, essendo tutto già deciso fin dalla nascita? L'ideologia marxista si associa con il determinismo storico; l'ideologia fascista e razzista con il determinismo genetico, così come le tradizioni feudali e aristocratiche. La libertà va intesa come scarto possibile rispetto alle leggi della natura e della storia che si suppongono determinanti. Non è che l'uomo non sia libero perché ha una storia naturale e sociale, ma, al contrario, proprio perché è libero egli accede alla storicità autentica, quella che ci allontana dal regno della natura per farci entrare in quello della cultura. E' su questa differenza che si fondano, a partire dal XVIII secolo, le filosofie della libertà che suppongono una nuova antropologia antinaturalistica. Il discrimine per l'uomo è nella libertà, nella perfettibilità, nella facoltà di perfezionarsi nel corso di tutta la vita. Le società umane progrediscono, o almeno cambiano, sotto l'effetto di una doppia storia: l'educazione dell'individuo e i processi politici che hanno condotto alla civilizzazione della specie dell'homo sapiens (Rousseau e Kant). Per via di questa libertà l'essere umano è morale. Egli riesce a discostarsi dalle proprie appartenenze naturali e storiche per giudicare la realtà come buona o cattiva, per interrogare il mondo inventando degli ideali e distinguendo il bene dal male. Sartre, sulla stessa linea di Rousseau e di Kant, ci invita a distinguere una semplice situazione (tutti abbiamo un corpo e una storia) da una determinazione (che questa natura e questa storia ci determinino completamente). La mia libertà non è annullata dalle situazioni costrittive in cui mi trovo, ma è in rapporto a queste che si esercita. Occorre, perciò, una critica solida, non riduttiva del riduzionismo. C'è una faglia che separa il mondo antico, aristocratico e gerarchizzato, tematizzato nella filosofia di Aristotele, dal mondo moderno democratico e meritocratico che da Rousseau e Kant fino a Husserl e Sartre, è rappresentato dalle filosofie della libertà, L'emergere dell'idea moderna di libertà, poi incarnata nell'ideale dei diritti dell'uomo, è contemporaneo al suo contrario: la comparsa di un materialismo deterministico e scientista legato a un'eredità spinoziana, come in Diderot.
Una breve storia del pensiero etico.
Nella storia della filosofia occidentale sono apparse almeno 3 grandi visioni morali del mondo (vedi anche in riferimento alla meta-etica). 1) La prima è quella degli antichi greci (scoprire il proprio posto...i propri talenti innati..). L'ideale della vita buona (la felicità) consiste nell'attuazione delle proprie virtù innate. E' una visione aristocratica, elitaria e naturalistica. L'insegnamento ha come fine naturale quello di individuare i talenti innati ed aiutare a realizzarli. Corrisponde a una cosmologia, a una realtà fisica in cui tutto è ordinato, ha un suo posto nella scala gerarchica: sia sul piano fisico che sul piano morale e politico. L'ineguaglianza naturale nella ripartizione dei talenti ha motivato questa visione. 2 e 3 sono costruzioni umane 2) Nelle filosofie della libertà l'ideale di vita buona consiste nello sforzo di superare i nostri limiti. Conta il percorso più del risultato, la disciplina che è formativa per la nostra personalità. Il merito conta più del talento. E' una visione democratica e meritocratica. L'insegnamento ha come fine il superamento dei propri limiti. La storia (il lavoro, la disciplina) conta più della natura. 3) La terza visione è propria delle morali utilitaristiche (nate nel XVIII secolo). L'ideale di vita è il piacere: il benessere mentale e fisico che si ricava dalle proprie azioni. Siamo diventati un po' eclettici, ma queste prospettive si basano su visioni del mondo divergenti. 1) La funzione o la finalità per ogni ente è la realizzazione più perfetta possibile della sua natura. La virtù e l'eccellenza (sono sinonimi) si definiscono come una giusta misura, un intermedio tra 2 estremi: ad esempio, il coraggio si trova nel giusto mezzo tra la vigliaccheria e la temerarietà, la vista buona tra la miopia e la presbiopia: qui la giusta misura non ha nulla a che vedere con una posizione moderata, ma con una perfezione. La mostruosità è propria degli estremismi che sfuggono alla loro natura. In questa visione dell'etica la questione dei limiti riceve una soluzione oggettiva: ognuno, nell'ambito sociale, deve trovare il suo posto e restarvi. 2) L'uomo è un essere in progetto e in trascendenza, come affermano Sartre e Heidegger. La virtù è una lotta della libertà contro la naturalità che è in noi. Le nostre inclinazioni naturali, le tendenze spontanee vanno tutte o quasi nella direzione dell'egoismo o, semplicemente, dell'ignavia. (Anche l'amore, la simpatia, la socievolezza possono essere considerate varianti dell'egoismo. E' solo il sacrificio che rende indispensabile l'ipotesi di una libertà svincolata dalla natura.) La morale si fonda: a) sull'azione disinteressata, svincolata dal condizionamento naturale dell'egoismo che è solo una variante dell'istinto di conservazione per me e per i miei cari (intenzioni); b) sull'universalità, sul bene comune come principio di riferimento per le azioni morali superando i semplici interessi particolari (fini). Queste sono le morali del dovere, le etiche deontologiche che in nome della libertà ci richiamano al dovere di lottare contro la "naturalità" che è in noi. L'azione deve essere disinteressata e il suo obbiettivo deve essere il bene comune L'obbiettivo così concepito ha un duplice significato: di scopo e di "non soggettivo", valido anche per tutti gli altri. Nella dottrina kantiana la qualità dell'abilità, della prudenza e della moralità sono graduate sia nella scala dell'obbiettività che in quella dei fini. L'abilità non si interroga sui fini, ma solo sull'adeguatezza dei mezzi (attenzione a non confondere l'intelligenza con l'abilità). La prudenza persegue dei fini come la salute, la propria sopravvivenza che hanno un contenuto più universale. La moralità persegue il fine del bene comune.
Educazione. Rousseau propone l'educazione con metodi attivi, attraverso le cose piuttosto che attraverso gli uomini. Possono esserci 3 concezioni della pedagogia: a) la prima lascia una libertà assoluta al bambino. E' l'educazione attraverso il gioco che, in politica, tende all'anarchia. b) La seconda è di tipo assolutistico, l'ammaestramento come si fà con le bestie. c) La terza si pone il problema di rispettare la libertà del bambino mentre gli si insegna una disciplina. Lo si può fare con il lavoro. Il bambino può esercitare la sua libertà ma si confronta con degli ostacoli obbiettivi, ben scelti dal maestro che sono formativi. All'anarchia del gioco e all'assolutismo dell'ammaestramento subentra la cittadinanza del lavoro. Rousseau pagherà con la persecuzione e con la fuga da Parigi queste sue concezioni che urtavano radicalmente contro le opinioni dell'aristocrazia, secondo cui il lavoro non valeva nulla. Presso i moderni, invece, chi non lavora non solo rischia di essere un uomo povero, ma anche un pover'uomo. Il lavoro si identifica come una delle manifestazioni essenziali di ciò che è proprio dell'uomo, della libertà come facoltà di trasformare il mondo e, trasformandolo, di trasformare ed educare se stesso. Il primato della teoria lascia il posto al primato della prassi.
Teoria della conoscenza.
1) Teoria delle idee innate, delle verità comuni a tutti gli esseri umani. E' la teoria di Cartesio secondo cui il buon senso è la cosa meglio ripartita nel mondo. Le verità elementari non sono condizionate dalla soggettività (è il razionalismo?). NDR Non è così anche per Platone (l'anima soggiorna nell'empireo..) 2) Per gli empiristi tutte le nostre conoscenze derivano dall'esperienza (Hume). Il metodo di conoscenza è induttivo. La scienza stessa è una credenza che non può garantire nulla in modo assoluto. L'empirismo conduce sempre al relativismo e allo scetticismo. Secondo gli empiristi i concetti generali postulano una religione o una metafisica e non sono nemmeno rappresentabili per la coscienza umana. Infatti le nostre rappresentazioni sono sempre particolari, immerse nel tempo e nello spazio (nel mio pensiero). 3) Kant ammette che le nostre rappresentazioni sono sempre particolari, ma non rinuncia all'idea che esistano dei concetti dal valore universale e atemporale. In caso contrario saremmo condannati allo scetticismo e al relativismo. Come è possibile che dei concetti a priori, universali e atemporali, siano rappresentati dalla coscienza empirica, che è sempre particolare e temporale? I concetti sono degli schemi, dei metodi generali di costruzione degli oggetti, delle regole e procedure. La conoscenza non è più pensata come contemplazione, come teoria, ma come attività. Conoscere è sintetizzare, unire le rappresentazioni secondo certe regole (concetto significa mettere insieme). Gli empiristi e i cartesiani pensavano per mezzo di idee (immagini mentali particolari e generali). Il pensiero diventa una costruzione, nulla è dato, tutto è costruito. Secondo lo schematismo un concetto astratto per avere un senso reale nella nostra coscienza deve sboccare praticamente su una percezione sensibile. La metafisica si eleva al di sopra di ogni esperienza possibile e perciò non può mai costituirsi come conoscenza vera, è un linguaggio che si sviluppa nel disprezzo delle esigenze di comprensione. Nella filosofia del XVII secolo l'uomo è pensato a partire da Dio e si definisce come mancanza, finitezza (v. Cartesio). La morale ha una fondazione religiosa. Con la modernità si afferma il primato dell'uomo. Dio viene visto come un'idea di quell'uomo che si era presunto creato da Lui. La dignità dell'uomo proviene dalla sua ragione e dalla sua libertà, non dalla divinità. Il contenuto della teologia cristiana non viene più prima dell'etica per fondarla, ma dopo l'etica, per darle un senso. L'ateismo e la morale possono così essere riconciliate (riconciliazione di un punto di vista più eclettico). Il riferimento al divino non svanisce, ma conferisce un senso al rispetto della legge perché viene ad aggiungere la speranza al dovere e l'amore al rispetto. I cristiani tradizionalisti vedranno in tutto questo il segno supremo dell'orgoglio umano. I cristiani laici vedranno, invece, l'avvento di una fede autentica, capace di parlare ad ogni uomo, fondata sull'apologia della coscienza.
Determinismo e libertà nella filosofia contemporanea: critica all'etica evoluzionistica
L'utilitarismo anglosassone si unisce al materialismo biologico nella corrente neodarwiniana che va sotto il nome di etica evoluzionistica. La morale umana, per questa, è il prodotto dell'evoluzione. L'utilitarismo non è riducibile alla teoria dell'egoismo personale generalizzato. Esso si presenta, in particolare in Bentham e Mill, come una morale universalistica, secondo cui un'azione è buona quando tende a realizzare la massima felicità per il maggior numero di persone interessate da quest'azione. E' cattiva quando tende ad aumentare la quantità globale di sofferenza. Il passaggio dall'egoismo all'altruismo non si può comprendere facilmente nel quadro dell'antropologia che ispira l'utilitarismo. L'uomo è, prima di tutto, un essere che calcola, un individuo che soppesa e confronta i diversi interessi prima di agire. Se arriva a superare i suoi propri interessi lo fa per via di certi sentimenti come la pietà e la simpatia che gli fanno includere la preoccupazione nei confronti dell'altro all'interno del proprio sé. Il principio utilitaristico non implica soltanto che io decida da me stesso, ma può implicare anche che altri impongano qualcosa in nome del bene comune. Il neodarwinismo non è riducibile a un incitamento fascisteggiante all'eugenetica o alla selezione naturale organizzata da sedicenti "élites". Se ne possono dare diverse interpretazioni politiche, addirittura divergenti: 1) la prima sarebbe una lettura del tipo liberalismo puro e duro, in cui il mercato sarebbe, in quanto luogo di una competizione organizzata, l'analogo della selezione naturale, il mezzo più sicuro per far emergere i migliori. 2) La seconda è una lettura comunista. La competizione non oppone tra loro gli elementi di una stessa classe sociale, ma le classi sociali tra loro. Tra i membri di una stessa comunità deve farsi largo la solidarietà. L'aggressività e la conflittualità vanno orientate all'esterno. 3) La terza è una visione ecologista. Noi co-evolviamo insieme con la natura che è la nostra insostituibile compagna nell'avventura della vita. Dobbiamo, perciò, organizzare la protezione di questa natura. 4) La quarta visione è tipica dell'estrema destra. I nostri stati social hanno da tempo falsato i giochi normali e naturali della selezione. L'eliminazione dei deboli e dei tarati diviene un compito assunto dalla volontà consapevole e organizzata delle élites. La migliore illustrazione dell'etica evoluzionistica si ritrova nella Teoria della giustizia di John Rawls che intende rispettare i diritti formali dell'uomo (libertà e uguaglianza) e riconoscere il ruolo della solidarietà sociale nell'attuazione delle virtù naturali. A questa visione etica non si giunge attraverso imperativi, come nelle etiche deontologiche, ma attraverso le selezioni realizzate dalla natura. C'è un altruismo biologico e un altruismo etico. Quello biologico è sostenuto dall'istinto, come nel caso della formica operaia che si sacrifica per portare cibo alle larve o alla regina; l'altruismo etico suppone che l'individuo abbia coscienza dei valori che ha scelto per guidare la sua azione, ma questa azione è essenzialmente utile per la sopravvivenza della specie. Una tesi contraria, invece, è che l'altruismo non sia un prodotto della selezione naturale, ma la lenta, difficile e incerta conquista della cultura democratica su una naturalità che, di per se stessa, non ha nulla di altruistico. Il bene e il male sono delle possibilità sempre aperte all'essere umano. N.B. ricorda che dalla semplice considerazione di ciò che è non è possibile inferire ciò che deve essere! E' sempre la soggettività che decide di dare valore o togliere valore a questo o quell'atteggiamento. Ndr La politica fondata sui sondaggi di opinione ai fini di assecondarli entra facilmente in conflitto con l’etica. La rivoluzione cartesiana, quella del meccanicismo, identifica il ruolo della scienza nel rendere ragione di ciò che appare in natura, in cui ci sono corpi materiali e movimenti governati dal principio d'inerzia, secondo cui nessun movimento subisce modificazioni senza l'intervento di una causa esterna. Presso Aristotele la vera libertà proveniva dalla comprensione e dall'amore dell'ordine del mondo. Spinoza riabilita questa antica concezione parlando di un'"intelligenza della necessità". L'estensione assoluta del meccanicismo, invece, taglia alla radice il libero arbitrio. Bisognerà attendere il 20' secolo perché questa concezione meccanicistica e deterministica della natura sia rimessa in discussione dalla scienza stessa. Provare empiricamente la legittimità del determinismo è impossibile: sia perché la catena delle cause è infinita, sia perché è arbitrario, come fa Leibniz, arrestarsi a una causa prima. Pe ril razionalismo materialistico non c'è nulla al mondo che possa decretarsi a priori misterioso e inconoscibile. Invece, sia che si tratti del lavoro dello storico o del biologo, la serie delle cause, delle ragioni e delle origini è sempre illimitata, di modo che nella scienza esistono solo spiegazioni limitate di fenomeni anch'essi limitati. Chi benefica della "libertà", secondo i filosofi della libertà? Il linguaggio degli esseri umani, a differenza di quello delle scimmie antropomorfe, non ha solo finalità di comando, ma anche dichiarative. Si vuole commentare il mondo, condividere con altri il proprio stupore e la propria conoscenza, la propria esperienza. L'esistenzialismo, secondo Sartre, è la filosofia secondo cui l'esistenza precede l'essenza. Egli traduce, forse meglio di tutti, ciò che la filosofia di Husserl (fenomenologia) e di Heidegger aveva conservato e sviluppato di spirito di libertà. Al contrario di ciò che sostengono le filosofie classiche di ispirazione platonica e, più ancora, nella religione cristiana, per Sartre, l'essenza non precede l'esistenza. Il modo d'essere dell'uomo, che è coscienza e libertà, è distinto dal modo d'essere del mondo, che è il substrato opaco su cui impatta l'intenzionalità della coscienza. L'uomo non è predefinito da una forma, ma esiste prima della sua definizione. E' ciò che vuole e sceglie di essere. Libero di diventare angelo o bestia. La libertà umana non è però astratta, ma sempre calata in una situazione. La vertigine della libertà si rivela nell'angoscia. L'uomo tenta di sottrarsi allo spaesamento che tale stato d'animo provoca. Inventa valori, miti, leggi, norme e doveri morali. Ma la consapevolezza della loro arbitrarietà è insopprimibile. Dopo la guerra (1945) difendendosi dagli attacchi di cattolici e comunisti, Sartre modificò il tenore individualistico del suo esistenzialismo ateo. Egli aggiunse che la libertà è anche responsabilità e trasformò l'esistenzialismo in una filosofia dell'impegno per l'uomo per la sua emancipazione materiale, sociale e spirituale, aderendo al marxismo. NDR Ma là dove la filosofia si mette al servizio della storia, che sia con il tiranno o con la democrazia, non è importante: essa perde il suo potenziale critico. Se, viceversa, il filosofo conserva intatta le sue capacità critiche, diventa una sorta di straniero in patria. La "scrittura reticente" diventa una necessità per proteggersi sia da forme di persecuzione intellettuale che materiali. Se Dio concepisce l'uomo e poi lo crea, bisogna presupporre preliminarmente una finalità dell'essere creato da cui si può dedurre una considerazione sulla sua destinazione e, appunto per quanto riguarda l'uomo, una morale. L'essere umano, invece, per Sartre, sfugge ad ogni definizione preliminare. Non gli tocca di seguire dei comandamenti divini in relazione al suo statuto di creatura, ma, al contrario, di inventare il Bene e il Male. Ciò che fa il suo valore non è l'appartenenza a una data comunità e a una data cultura, ma la possibilità di elevarsi al di sopra di tutti questi possibili radicamenti. Né la storia né la natura possono essere considerati dei codici determinanti. Certo, l'essere umano è in situazione, ha un sesso, una famiglia, una nazione, ma egli non è questa natura e questa storia, non può essere ridotto ad essa. Egli le ha, può astrarsene, può metterle in prospettiva e lanciare su di esse uno sguardo critico. Malafede è: 1) la riaffermazione di categorie e determinanti che negano la nostra libertà e che dobbiamo semplicemente interpretare come attori di teatro; 2) la malafede porta alla reificazione dell'umano, lo trasforma in un oggetto la cui essenza precede l'esistenza. Il mondo intero è immerso nell'indeterminismo. Non solo l'esperienza umana non ha un senso determinato a priori, ma anche il mondo in cui viviamo è completamente contingente. E' il senso di questa contingenza dell'essere che Heidegger chiama angoscia e Sartre chiama nausea (è la vertigine della libertà). L'esistenzialismo comporta una critica radicale sia alla teologia dogmatica che al materialismo. Scienza e non scienza: la questione del criterio di demarcazione. Il razionalismo critico di Kant e Popper. Ci sono tanti discorsi che aspirano alla verità: dalla teologia all'astrologia, dalla psicanalisi alla filosofia, dalle scienze esatte alle scienze umane. Come distinguere, tra essi, quelli che possono reclamare un'autentica scientificità? Gli studiosi e i filosofi hanno una propensione quasi naturale a considerare che la scienza è l'insieme delle proposizioni vere perché dimostrate in maniera logico matematica o sperimentale. Ma Popper critica questa convinzione che chiama "verificazionismo". Secondo la prospettiva empiristica, che è la filosofia spontanea degli scienziati, il metodo scientifico si fonda sul ragionamento induttivo: 1) in un primo momento ci sarebbe l'osservazione neutrale; 2) in un secondo momento si penserebbe a classificarle secondo regolarità, somiglianze, differenze; 3) a questo punto interverrebbero le ipotesi esplicative, destinate a rendere ragione dei fenomeni osservati. Il metodo sperimentale consisterebbe, quindi, nel cercare di verificare queste ipotesi. Verificando la ripetizione di una stessa sequenza di eventi se ne ricaverebbe una legge generale. Ma il ragionamento per induzione, come aveva ben visto Hume fin dal 700, non ci permetterà mai di giungere a delle conclusioni certe. La scienza fondata sull'induzione è una credenza, un'aspettativa, nulla di più. Posso aver visto 10.000 volte il sole sorgere al mattino, ma nulla mi dimostra rigorosamente che sorgerà anche domani mattina. La conseguenza logica dell'empirismo è lo scetticismo. Popper contesta le premesse di questa epistemologia. Non è vero che la scienza proceda per induzione e verifiche. Al contrario, essa procede per congetture e confutazioni. L'applicazione del criterio di falsificabilità è il motore della scienza perché essa non ha lo scopo di verificare delle ipotesi, ma di fare tutto il possibile per confutarle. C'è, infatti, asimmetria tra il vero e il falso: mentre è impossibile provare empiricamente che una proposizione è vera, è invece possibile provare con perfetto rigore che è falsa. Es. corvi neri o cigni bianchi... La possibilità di applicare il criterio di falsificabilità traccia una linea di demarcazione tra discorsi scientifici e discorsi non scientifici. La qualità principale di una congettura scientifica è di essere "rischiosa". Ma qual è lo statuto del criterio di falsificazione? Esso non è, a sua volta, un enunciato falsificabile e, quindi, non appartiene alla scienza, ma alla filosofia della scienza (all'epistemologia). La critica che si può fare ai marxisti e agli psicoanalisti è che essi sono, invece, "verificazionisti". L'esperienza viene sempre convocata per confermare le loro ipotesi, mai per cercare di confutarle. Se, per caso, un avvenimento sembra entrare in contrasto con i principi fondamentali della dottrina subito si inventa un'ipotesi ad hoc per "immunizzare la teoria". Ad esempio, la rivoluzione proletaria, secondo Marx sarebbe dovuta scoppiare nei Paesi più industrializzati dove più acute erano le contraddizioni del capitalismo. Essendo, invece, scoppiata in Russia, è stata inventata la dottrina dell'anello più debole. Anche l'affermazione che ogni azione umana è determinata da interessi consapevoli o inconsci è una proposizione non falsificabile e, quindi, non scientifica. Questo argomento è comune all'utilitarismo, al neodarwinismo, al materialismo, ma non può essere confutato scientificamente, è un postulato metafisico. Lo scienziato è qualcuno che, per principio, è aperto alla discussione pubblica. C'è un legame stretto tra scienza e democrazia. L'oggettività ha a che fare con l'intersoggettività e la discussione. Secondo la prospettiva kantiana la scienza riguarda la conoscenza di fatti e oggetti (fenomeni) situati nello spazio e nel tempo. La metafisica, invece, riguarda la conoscenza di oggetti situati fuori da ogni esperienza possibile. La filosofia consiste nel separare i diversi domini dell'attività intellettuale: essa non è né scientifica né metafisica, ma riflessiva. Il concetto, secondo Kant, è dotato di 2 tratti caratteristici: la comprensione, ossia l'ancoramento a una definizione (l'astrazione dalle differenze non significative), la proprietà di classificare le cose; l'estensione, che corrisponde agli elementi stessi. Per cogliere un'esistenza particolare bisogna sempre ricorrere a una percezione empirica reale, situata in modo singolare nello spazio e nel tempo. Il reale può soltanto essere dato e non dedotto da un'idea. La percezione è insostituibile per cogliere l'esistenza spazio-temporale. Le idee sarebbero soltanto un'illusione metafisica qualora le si concepissero come possibilità di dedurre il particolare dal generale (senza essercele costruite, invece, proprio nel passaggio inverso, dal particolare al generale, ma c'è ricorsività...). Nella metafisica cartesiana (1596-1650) la finitezza dell'uomo è pensata relativamente all'assoluto dell'intelletto divino. Il fatto che l'uomo sia sensibile, ossia debba ricevere dall'esterno gli oggetti che lo impressionano rappresenta la sua imperfezione. La sensibilità, in quanto segno di questa finitezza, viene svalutata. Per Dio, invece, nulla è sensibile, ma tutto è intelligibile. Il pensiero di Kant (1724-1804) rovescia questa svalutazione di Cartesio. La ricettività del soggetto (la sensibilità) si pone a priori come condizione di ogni conoscenza. L'assoluto viene esso stesso relativizzato, cioè pensato come un semplice punto di vista soggettivo e non come realtà in sé. Nella filosofia critica di Kant la metafisica viene essenzialmente respinta. Il razionalismo dogmatico è privo di ogni verità scientifica in quanto enuncia proposizioni che non possono essere verificate o invalidate dall'esperienza. Il punto culminante della metafisica è l'idea di Dio intesa, insieme, come termine ultimo, al quale la ricerca delle cause o delle ragioni non può che arrestarsi, ma anche come il punto di vista a partire dal quale la totalità dell'universo costituirebbe un insieme coerente, trasparente e razionale, in breve, un sistema. Il mondo dovrebbe raggruppare sotto un'unica legge la maggiore pluralità possibile di esseri diversi senza che per questo vi sia un'interruzione nella razionalità sistematica (principio di continuità). L'idea metafisica di sistema è un prodotto necessario della ragione. E' un'esigenza soggettiva, ma necessaria della ragione umana. La nozione di sistema afferma in sé la razionalità del reale. Noi, quindi, dobbiamo produrre il massimo di sistematicità nelle nostre conoscenze. Noi dobbiamo lavorare alla razionalizzazione del reale. Le idee della ragione continuano a possedere, dopo la loro decostruzione, una certa legittimità, un uso regolativo, quello di dirigere l'intelletto verso un certo scopo. Non è vero che dopo la religione e dopo la filosofia sia finalmente venuto il tempo della scienza (NDR come diceva Compte) che deciderà in maniera valida e sperimentale le vecchie questioni della metafisica, quelle, per esempio, dell'origine del mondo o della libertà, dei criteri dell'etica o del bello. Vi sono delle questioni, come quelle che riguardano le origini, l'incondizionato, nell'ordine della conoscenza come in quello dei valori, che non si possono decidere scientificamente perché sfuggono, per la loro stessa essenza, alla sfera empirica. Se si vuole affermare che esistono certe predisposizioni naturali che rendono possibile un'etica, questo è vero. Ma se si vuole arrivare a dire che un giorno si fonderanno o giustificheranno scientificamente certe scelte etiche piuttosto che altre, si cede a un'opzione intellettuale pericolosa. Se per l'adozione di certi valori ci si dovesse fondare su un nuovo materialismo, quello delle scienze della natura (così come un tempo si era fatto col marxismo) questa adesione pretenderebbe ben presto di diventare indiscutibile, salvo che per i cattivi o gli ignoranti.
Iniziazione alla biologia.
La specie è caratterizzata da interfecondità. Il passaggio dall'animale all'uomo è avvenuto tramite passaggi graduali nel corso di 3 milioni di anni. L'uomo è un prodotto della selezione naturale che si è verificata nel gruppo dei primati. Non c'è tra l'uomo e l'animale un frattura paragonabile a quella esistente tra regno animale (eterotrofo) e vegetale (autotrofo). Filogenesi è lo sviluppo della specie. Ontogenesi è lo sviluppo dell'individuo. L'antropologia, secondo Heidegger, è lo studio naturalistico dell'uomo. Essa è più descrittiva che esplicativa e ha la missione di riflettere e vigilare che l'uomo resti umano e non diventi inumano. Da dove nasce una nuova specie? Ci sono principalmente 2 possibilità: 1) nella continuità di una specie arcaica per un accumulo lento e progressivo di trasformazioni minori; 2) in modo più improvviso (nell'istante di qualche migliaio di anni). L'innovazione, comunque, si diffonde tramite il rimescolamento, in una popolazione poco numerosa e localizzata. L'intimo e il circoscritto sono condizioni essenziali per le grandi rivoluzioni della storia biologica. I vincoli esterni (ambientali) e i vincoli interni (le altre strutture e funzioni dell'organismo) selezionano le mutazioni favorevoli all'adattamento e, in definitiva, alla capacità di riproduzione. C'è una gradualità, non una progressività, perché l'evoluzione è estranea alla nozione di progresso. Quali sono le caratteristiche distintive dell'uomo? 1) aumento del volume del cervello 2) aumento della superficie della corteccia per via dei solchi più profondi che la dividono in lobi e circonvoluzioni 3) impiego di utensili: il che suppone la capacità di anticipare l'obbiettivo da raggiungere. Gli utensili interagiscono con il manipolatore e si inseriscono in tradizioni, regole, culture. Con gli utensili l'uomo sviluppa oltre che la capacità di manipolare gli oggetti e il mondo materiale che lo circonda anche quella di agire sull'ambiente sociale e di manipolare i suoi simili. 4) Lo sviluppo delle aree cerebrali dette associative che occupano più di 2/3 della corteccia, in particolare nella zona frontale. 5) La ricchezza e l'abbondanza delle sue rappresentazioni che lo portano a costruire delle idee, a categorizzare il reale. Esse si producono in territori cerebrali più o meno specializzati secondo la natura sensoriale dei dati che provengono dal mondo (es. aree occipitali per dati visivi e aree temporali per dati uditivi). Le rappresentazioni costituiscono delle forme a partire dai legami tra neuroni diversi (sinapsi). Esse sono dinamiche, possono cancellarsi, rafforzarsi con l'apprendimento e rappresentano il substrato della memoria. A fianco delle immagini del mondo altri neuroni hanno il compito di organizzare le risposte motorie. C'è un'interdipendenza totale delle aree sensitive e motorie. Le rappresentazioni del mondo non possono essere considerate indipendentemente dalle azioni sul mondo. Queste sono le forme e le forze che producono e riproducono il mondo del soggetto. Se i geni costituiscono i piani di sviluppo della memoria di specie (uno sviluppo che si prolunga indefinitamente nell'uomo: neotenia è il prolungamento dello sviluppo di un organismo), l'ambiente con i suoi stimoli (epigenesi) influenza la sua memoria individuale. La memoria procura una capacità di gestione del tempo (perché è possibile ricordare ciò che si è fatto e ciò che resta da fare) ed è all'origine della coscienza di sé, integrando le rappresentazioni a un livello superiore di categorizzazione che pone il soggetto in una prospettiva temporale e lo dota di una storia e di un'identità. Gruppi diversi di sinapsi partecipano a una stessa rappresentazione. Ad esempio, la vista di una mela genera un'esperienza soggettiva unificata attivando zone distanti del cervello che trattano distintamente colore, forma, odore. A questa esperienza è sottesa un'attività elettrica ritmica che assicura la sincronizzazione dei diversi gruppi neuronali. 6) Linguaggio. L'uomo non impara a parlare più di quanto l'uccello impari a volare. L'istinto è una capacità innata di un animale ad acquisire un comportamento tipico della sua specie in condizioni ambientali appropriate e, in particolare, a contatto con i genitori. Esistono nel suo cervello dispositivi anatomici e aggregazioni neurali che gli consentono di imparare a parlare durante un periodo critico. Le parole sono inseparabili dagli strumenti e dal comportamento strumentale. NDR Non servono solo a comunicare con altri. Sono necessarie anche a comunicare con noi stessi, alla autocoscienza e al comportamento razionale finalizzato... La parola è un marchingegno costruito con pezzi riuniti tra loro secondo una doppia articolazione: la prima assembla tra loro i monemi che hanno una forma e un senso che conservano quando sono isolate (queste unità sono commutabili e hanno il potere di modificare la funzione degli elementi cui sono contigue e, così, di alterare l'insieme); la seconda articolazione riguarda la commutazione di unità distintive che hanno una forma fonetica, ma non un significato: i fonemi. L'area di produzione si chiama di Broca ed è nel lobo frontale e controlla le aree motrici della mano, così come quelle dei muscoli della faccia e della laringe. Le aree di recezione del linguaggio si chiamano di Wernicke e sono nel lobo temporale. Una medesima area cerebrale sottende tanto la funzione linguistica quanto la manipolazione di oggetti. NDR E' la base antropologica dell'agire discorsivo. L'antropologia si propone di conservare nell'uomo le sue prerogative e di evitarne la disumanizzazione (Heidegger). A proposito di autocoscienza e libero arbitrio abbiamo visto come si costruisce il sistema emozionale. Abbiamo visto come la libertà (vedi filosofi della libertà) dipenda fondamentalmente dalle capacità inibitorie... La scelta razionale (orientata dalle emozioni) e la gestione del tempo dipendono dalla memoria e dal linguaggio (l'area di Broca di produzione del linguaggio controlla anche le aree motorie della mano così come quelle della faccia e della laringe) Prerogative umane: scopo dichiarativo versus imperativo manipolazione di oggetti versus anche di esseri umani, tramite l'eloquenza I segni non sono solo espressione della rappresentatività da parte di un simbolo in assenza dell'oggetto, ma anche di un'arbitrarietà radicale che testimonia un'intelligenza concettuale. Se c'è una funzione che caratterizza il linguaggio umano è il suo aspetto dichiarativo che ha come obbiettivo di fornire un'informazione sul mondo e che si distacca dal carattere esclusivamente imperativo della comunicazione animale. Nel linguaggio esplode l'estrema socievolezza dell'uomo. Esso permette una condivisione della soggettività ed è mediato spesso dalle emozioni. Esiste una funzionalità del linguaggio che fa di esso un organo: quella di produrre qualcosa di sociale. Per quanto riguarda il materiale genetico esso coincide con quello della scimmia per il 99%, ma non è detto che i suoi geni differiscano solo per l'1%. Inoltre i cromosomi hanno un assetto diverso, sono 46 e non 48.
L'uomo interprete appassionato del mondo.
L'uomo non è solo manipolatore di oggetti e di persone (con la sua eloquenza). Non si identifica solo nel suo pensiero (cogito ergo sum), ma forse soprattutto nei suoi sentimenti (sentio, ergo sum). Ciò che si manifesta attraverso i sensi appare sotto le facce contrastanti del piacere e dispiacere: processi contrastanti che sono le fondamenta su cui si stabiliscono le passioni dell'uomo. Sono i sensi ad aprire il sipario del teatro su cui noi compariamo allo stesso tempo come attori e come spettatori. Nell'arte si esprimono gli elementi emozionali che determinano l'essenza dell'uomo, anche in misura superiore rispetto agli elementi logici. Le lingue e le arti (sculture ed affreschi) nelle forme più o meno attuali compaiono contemporaneamente circa 35.000 anni fa ndr grotta di Chauvet e di Lascaux (15-20 mila anni). Il colore varia con la luce, la forma con la prospettiva, ma il cervello assegna una costanza ai dati sensoriali che il mondo gli invia. Dal flusso incessante e mutevole delle informazioni estrae e seleziona quelle che gli permettono di classificare gli esseri e le cose e prepara le azioni che accompagnano queste identificazioni. L'interpretazione del mondo si fonda sul duetto appassionato della sensibilità e dell'azione. L'emisfero sinistro è quello logico-matematico, manipolatore; quello destro, invece, è superiore nella visione dei piani di insieme, ha una comprensione più globale ed intuitiva, più appassionata. La corteccia sinistra sembra eserciti un ruolo di controllore sulla destra e assicura l'unificazione della coscienza. La soggettività si esprime nelle 3 dimensioni 1) corporea, fatta di rappresentazioni ed azioni 2) extracorporea: il mondo proprio dell'individuo 3) temporale: la storia del soggetto, del suo sviluppo, dell'interazione tra i suoi geni e l'ambiente. Le emozioni (messa in movimento) sono funzioni di adattamento e comunicazione e sono proprie di tutti i vertebrati. Comunicano perché inviano dei segnali, fungono da adattamento perché preparano all'attacco, alla fuga e alla remissività. Le passioni sono specifiche dell'uomo, presuppongono l'autocoscienza, la coscienza del proprio corpo scosso. Ad esempio, affetto e aggressività possono essere considerate emozioni, esprimono il movimento provocato da una relazione di vincolo o di ostilità. L'amore e l'odio sono invece passioni ed esprimono un movimento interiorizzato. I sentimenti sono per le passioni ciò che i battiti del cuore, la colorazione della pelle, le fattezze del viso, la pressione sanguigna sono per le emozioni. Sono degli elementi che si associano nella coscienza riflessa del soggetto a movimenti (stimoli) di più lungo periodo o più intensi. Sia le emozioni che le passioni servono a comunicare, ma mentre le prime si esprimono con il linguaggio del corpo, le seconde si esprimono con il linguaggio dei sentimenti, le parole dell'odio e dell'amore. Emozioni sono la collera, la gioia, il disgusto, la paura, la sorpresa.. Le emozioni primordiali sono 3: la prima, il desiderio è movimento verso l'oggetto desiderato e serve da fondamento per la coppia formata dalle altre 2: il piacere e l'avversione. Diventano passioni grazie al lavoro della coscienza riflessa, grazie alla costruzione e "manutenzione" della memoria. NB Gli individui sono commossi anche in conseguenza del fatto che hanno un aspetto commosso. La contrazione dei muscoli facciali scatena, di per sé, le reazioni neuro-vegetative specifiche sia attraverso retroazioni indotte dai muscoli contratti sia attraverso una connessione tra i programmi motori della corteccia cerebrale e i centri neuro-vegetativi (c'è una ricorsività di potenziamento). La funzione di adattamento delle emozioni coinvolge gli ormoni, ad esempio della surrenale (parte midollare-->catecolamine e corticale--->cortisolo) così come la funzione comunicativa comporta la contrazione dei muscoli facciali. La noradrenalina è liberata soprattutto dalle terminazioni nervose simpatiche che innervano la pelle , i vasi e i visceri (sistema simpatico) e fa affluire il sangue verso i muscoli. E' complementare con l'adrenalina che fa aumentare la frequenza del cuore e mobilita lo zucchero epatico. Sono complementari nel senso che l'adrenalina viene liberata a spese della noradrenalina ogni volta che ci sia più tensione e minor impegno nell'azione, minor controllo. La secrezione di cortisolo, invece, traduce l'incapacità a reagire nell'immediato, accompagnata da un'accettazione della sconfitta e, nell'uomo, da un sentimento di rassegnazione. Il cortisolo è l'ormone della reazione di stress, serve a ricostruire le provviste di zucchero, non significa passività, ma adattamento a lungo termine. E' l'ormone della frustrazione, della speranza delusa, dell'incertezza eccessiva. L'azione, anche su un elemento diverso della causa dello stress, frena la risposta cortisolica. I capi, nella loro ossessione di perdere il potere, sono immersi nel cortisolo. Ma spesso il cortisolo è anche appannaggio dei dominati. Un altro sistema ormonale implicato nello stress è quello delle endorfine. Sono liberate dall'ipofisi e dalla midollare surrenale, ma anche dal cervello in cui sono presenti come neuromediatori. L'emozione che le libera è la paura. Esse provocano un'analgesia funzionale a permettere la fuga, inibendo il dolore. Questi ormoni sono regolati dalla corteccia prefrontale che tratta le informazioni e valuta le situazioni di pericolo. La strategia viene scelta secondo i dati di realtà e il temperamento del soggetto. Se la situazione è soggetta a minor controllo viene attivato l'ippocampo e poi l'ipotalamo e l'ipofisi che aziona l'asse cortico-surrenale. Se la situazione comporta un maggior controllo e scatena un'azione, l'asse interessato è quello simpatico per il tramite delle amigdale sepolte nelle profondità di ogni lobo temporale. Le amigdale servono a riconoscere la paura sul viso degli altri, a esprimerla e viverla. Ippocampo e amigdala sono strutture doppie e simmetriche, implicate nella formazione dei ricordi. Sono anche i luoghi delle emozioni primordiali. Essendo coinvolte sia nella memoria che nelle emozioni spiegano il motivo per cui il ricordo è sempre associato con una sensazione di piacere o di sofferenza. Il mondo viene percepito attraverso la griglia delle emozioni. Queste sono portatrici di senso e ci consentono di dialogare con gli altri e con noi stessi. Si riesce, così, ad associare il piacere e la sofferenza con un oggetto e una situazione e si impara a stimare il valore edonistico o avverso di uno stimolo. Il desiderio sta tra la mancanza e il possesso, tra il bisogno da soddisfare e il soddisfacimento senza più bisogno. Il desiderio si situa nel quadro dell'omeostasi, per compensare le perdite subite e mantenere l'equilibrio. Negli invertebrati e negli unicellulari il desiderio è regolato come uno spartito musicale. Gli emisferi cerebrali poggiano sul tronco cerebrale che è il prolungamento del midollo spinale. La sostanza reticolare che occupa lo spazio lasciato libero dalle vie ascendenti e da quelle discendenti fabbrica i neuromediatori. Essa riceve informazioni su tutto ciò che sale al cervello e che discende da esso. Le strutture del tronco cerebrale e l'insieme delle regioni profonde mediane del cervello intervengono negli stati di coscienza: sonno, veglia, attenzione. Il desiderio è associato ai processi di -attenzione -intenzione - avvio dell'azione - sostegno dell'azione connessi con la dopamina. L'assenza del desiderio trascina nella sua scomparsa il piacere e la sofferenza. Piacere e sofferenza sono gli elementi comuni della soggettività degli esseri umani, che conduce al linguaggio. L'insieme delle nostre capacità cognitive e la costruzione delle nostre rappresentazioni nel cervello sono soggetti al filtro del piacere e della sofferenza. Esiste una teoria del piacere che lo collega al valore utilitaristico dei comportamenti, alla somma dei vantaggi e degli inconvenienti che sono connessi con le diverse azioni. La finalità del desiderio è il piacere. Le scelte sono legate al piacere. Nel sistema nervoso tutti gli stati affettivi funzionano in coppia. Ogni volta che si produce un processo primario affettivo in un dato senso (ad esempio, l'avversione), intervengono, in senso inverso, delle strutture nervose responsabili di processi oppositivi, caratterizzati da una notevole inerzia e dalla loro persistenza ad arrestare il fenomeno primario. Ad esempio, si instaura un rallentamento cardiaco in seguito a un aumento di frequenza dovuto a stimoli nocicettivi. Nel caso dei tossicomani i processi oppositivi creano assuefazione o dipendenza (effetto di rimbalzo che provoca sofferenza) e tolleranza. Qualcosa di analogo avviene per tutti i comportamenti compulsivi (sesso, alimentazione, gioco d'azzardo..). Il mediatore associato alla sofferenza e all'avversione è la serotonina. Tutto ciò che il soggetto conosce del mondo e tutte le sue azioni su questo mondo fanno intervenire i processi oppositivi. Le mappe cognitive di un essere umano sono per la grande maggioranza acquisite. Ma ciò non significa libertà. Di quale libertà dispone un bambino violentato e percosso che sarà in un domani a sua volta un carnefice? Caratteristica degli esseri umani è la loro capacità di condividere le loro esperienze di piacere e di sofferenza attraverso lo sviluppo del linguaggio. Ciò è alla base dell'humanitas, della cultura e dell'arte.
Un vivente tra i morti
Linneo nel 1735 proclamò il dogma della fissità della specie (poi confutato da Darwin). Dopo la metà dell'800 si è affermato il concetto che ogni cellula nasce da cellula, con Virchow. Tutti gli organismi viventi possiedono un programma genetico che serve loro per realizzare delle forme che assicurano delle funzioni. La funzione è la conseguenza di una forma e questa è conseguenza di un programma genetico, che è a sua volta forma. La selezione naturale spiega l'adattamento degli individui al loro ambiente: essa ne è l'unica causa. Mutazioni brutali e radicalmente nuove hanno iniziato l'avvio esplosivo di nuove linee evolutive. Le proteine sono costituite dall'associazione di elementi di base chiamati amminoacidi (una ventina). L'evoluzione ne ha fissate alcune centinaia di migliaia rispetto ai milioni di miliardi possibili di combinazioni. Una cellula ha 2 ambizioni nella sua vita: 1) di moltiplicarsi e 2) di differenziarsi. LUCA : last universal common ancestor è la prima cellula dopo l'era prebiotica, 3,5 miliardi di anni fa da cui sono nati i 3 regni viventi: 1) eucarioti (animali, miceti, vegetali, protisti) 2) batteri 3) archibatteri. Classificazione: batteri e archibatteri sono procarioti: sono 10 volte più rapidi a moltiplicarsi rispetto a una cellula eucariotica. Per 3 miliardi di anni la scena non è stata occupata che da organismi unicellulari. L'invenzione dell'uovo amniotico ha consentito con l'aiuto di una sacca liquida, di proteggere l'embrione durante la sua crescita. L'utero dei mammiferi ha rappresentato un ulteriore perfezionamento grazie allo schiudersi dell'uovo all'interno della madre, liberata così dalle costrizioni imposte dalla nidificazione e dai rischi del mondo esterno. In termini di rendimento della riproduzione, la differenziazione sessuale non è comprensibile. Infatti, un individuo, dividendosi, ne riprodurrebbe 2. Invece, con il sesso, occorre essere in 2 per generare un solo individuo. Ma la sessualità, consentendo la mescolanza delle mutazioni favorevoli, accelera l'evoluzione. Presso gli organismi unicellulari che si riproducono per divisione è difficile parlare di morte, in assenza di cadavere.
Conclusione tra i 2 autori.
Filosofo
Sono importanti i contributi della biologia relativi alle emozioni e alle passioni per interpretare i comportamenti umani. La psicologia ha a che fare con la biologia...vedi i processi oppositivi.. L'amore e l'odio sono lo specifico dell'uomo: presuppongono una distanza rispetto a sé e agli altri: distacco che costituisce la libertà. Lo specifico dell'uomo non è solo l'auto-coscienza, ma la condivisione dell'esperienza con altri esseri umani, l'intersoggettività.
Biologo
La libertà è certo appannaggio degli uomini, ma non dipenderebbe da uno scarto così radicale rispetto al regno animale. La differenza relativa alla storicità, vale a dire all'educazione, alla cultura e alla politica è talmente grande da un punto di vista quantitativo che diviene qualitativa. L'arte realizza in modo più evidente che in altri campi dell'attività umana la sintesi tra il percepire e l'agire. Questa sintesi è possibile solo perché ha luogo in un individuo "appassionato". Il fenomeno emotivo interviene qui come motore della memoria e supporto delle categorizzazioni che si possono sempre ricondurre a operazioni neuronali. Quando io decido di compiere un'azione un neurofisiologo potrebbe osservare nel mio cervello dei neuroni che si attivano anticipatamente, alcune frazioni di secondo prima che si mettano in azione le mie aree motrici propriamente dette. Ma prima ancora, che cosa fa decidere di decidere? E' lo stato centrale fluttuante.. Di fronte al biologismo c'è anche un filosofismo che pretende di detenere sull'uomo un titolo di proprietà. E' meglio offrire ai filosofi delle nozioni di biologia per informare la loro riflessione o, viceversa, fornire ai biologi delle nozioni di filosofia? L'autore sembra opporsi alla prima ipotesi per via delle specializzazioni e delle difficoltà dei saperi scientifici. Ma sarebbe pressoché lo stesso per la filosofia: si tratterebbe di decidere quale filosofia. Per il filosofo la specificità dell'uomo consiste nella sua capacità di assumere il male come progetto. La sola consolazione è che questa capacità non può che essere l'effetto della sua libertà e che questa libertà gli concede anche di sconfinare in quell'altro eccesso che si chiama generosità o amore.