Michael Sandel. Giustizia. Feltrinelli, Milano 2010


Michael Sandel. Giustizia. Feltrinelli, Milano 2010

1) Fare quel che è giusto

Dopo un furioso uragano nel golfo del Messico, i prezzi si impennarono di 5-10 volte. Ci furono reazioni indignate da parte dell'opinione pubblica. Sembrava si approfittasse vergognosamente delle disgrazie della gente. Ma alcuni economisti sostenevano che l'indignazione originava da un equivoco. Non esisteva, infatti, secondo loro, come nelle società medievali, un "giusto prezzo", cioé stabilito dalla tradizione o dal valore intrinseco delle cose. Nelle economie di mercato, invece, il prezzo è fissato dal rapporto tra domanda e offerta. 

Il problema sollevato da questo esempio non è tanto relativo ai comportamenti che si dovrebbero tenere tra singole persone o nel proprio ambito privato (etica), ma alla definizione delle leggi e all'organizzazione della società (politica, etica pubblica). 

Per trovare risposta a problemi come questo dobbiamo riflettere sul concetto di giustizia. Secondo alcuni una società giusta è quella che massimizza il benessere, secondo altri è quella che rispetta la libertà, secondo altri ancora è quella che favorisce un comportamento virtuoso. Ma chi stabilisce quali sono le virtù da premiare e i vizi da perseguitare? Le nostre società oggi sono pluraliste, vogliono apparire neutrali di fronte ai diversi valori e alle differenti concezioni di vita buona. Ognuno, nella sua esistenza, dovrebbe realizzare la propria concezione di vita buona. Sembra pericoloso imporre per legge i comportamenti virtuosi perché si scade facilmente nell'intolleranza e nella coercizione. Aristotele insegna, invece, che la giustizia consiste nel dare a ciascuno ciò che merita e, per poter stabilire chi merita che cosa dobbiamo definire le virtù che devono essere onorate e premiate. La pensano diversamente Kant e Rawls. Le teorie moderne della giustizia partono dalla libertà anche perché non possono prescindere dal pluralismo culturale, politico, religioso, valoriale delle nostre società. Ma questo è un problema perché dovrebbe esistere un qualche fine sovra-ordinato che favorisca la coesione, che impedisca una frammentazione troppo marcata della società. Sembra, quindi, che una società giusta non è solo quella che vuole accrescere la prosperità economica e rispettare la libertà, ma è ache quella che favorisce comportamenti virtuosi e si interroga su giudizi di valore. E' comunque un mondo variegato. Nelle società di mercato, ad esempio, si dà per scontato che ciascuno persegua il proprio interesse, e spesso il confine tra interesse individuale e ingordigia o avidità non è ben definito (ndr ma il mercato non è libero a sua volta dai dogmi).

Porsi il problema della giustizia significa chiedersi come distribuire le cose cui diamo valore: diritti e doveri, ricchezza, redditi, benessere, cariche e onori, potere e occasioni. La filosofia politica non è in grado di dare risposte certe a problemi di questo tipo ma contribuisce a offrire chiarezza. Ci viene suggerita una strategia per affrontare le discussioni etiche. E' quella dell'equilibrio riflessivo, che procede per tappe. Al primo passo, a fronte di un problema, si abbinano le proprie convinzioni. Si cerca poi di giustificarle sulla base di un qualche principio... Si parte da situazioni concrete e si procede revisionando principi e giudizi, fino a che si è in grado di emettere un giudizio ben ponderato che risulti coerente con un codice etico che possa risultare di portata più vasta. E' una strategia che fa riferimento ai dialoghi di Socrate e alla filosofia morale di Aristotele.



Cap 2 Il principio della massima felicità: l'utilitarismo


Valutare la giustizia delle azioni, ossia la loro moralità, in base alle conseguenze che procurano, così come fa l'utilitarismo e, in generale, le etiche consequenzialistiche, non è sufficiente. A. Sen, per questo motivo, pur restando consequenzialista, introduce una correzione. Esistono diritti  e doveri che dovremmo rispettare indipendentemente dalle ripercussioni che procurano alla società. NDR Non esistono, però, i cosiddetti diritti naturali. I diritti sono un'altissima invenzione umana su cui si è trovata un'ampia condivisione che nobilita le persone e i popoli che li rispettano. Il principio di J. Bentham è accrescere al massimo l'utilità. Da questo principio scaturisce una scienza dell'etica che poteva servire come fondamento delle riforme politiche. Es panopticon, oppure relegare i mendicanti in un ospizio....

1) La prima obiezione è che non vengono rispettati i diritti individuali: rischiamo, così, di non trattare le persone con la decenza e il rispetto necessari.

Ad esempio, la tortura può essere giustificata per la lotta contro il terrorismo? No perché viola i diritti umani e non rispetta la dignità intrinseca dell'essere umano. Diritti e dignità hanno una base etica che trascende l'utilità. La prospettiva di salvare molte vite non giustifica la decisione di torturare una persona.

2) l'utilitarismo si propone come scienza dell'etica fondata sull'idea di misurare, addizionare, calcolare l'utilità (come indicatore di soddisfazione, di felicità..). Valuta le preferenze senza giudicarle. Da questo atteggiamento di neutralità deriva in gran parte la sua attrattiva. Ma la sua attrattiva maggiore proviene, soprattutto, dal suo impegno a costruire una scienza della scelta morale. Questa caratteristica è particolarmente apprezzata dagli economisti. Ma per sommare le preferenze è necessario calcolarle con un'unica scala di misura. Si suole utilizzare la scala monetaria, ma suscita problemi, ad esempio, la monetizzazione della vita umana. Vedi esempio di Philip Morris e della Ford pinto. Per di più, la vita umana può essere valutata diversamente dalle varie agenzie governative. Ad esempio, l'ente governativo per la protezione ambientale negli Usa valutava ogni vita salvata negli ultrasettantenni 1,4 milioni di dollari in meno che nei più giovani. Altri enti la monetizzano a 6 milioni, altri a circa 1,5 milioni. Questo tradisce una forte incoerenza nelle valutazioni. Per i detrattori dell'utilitarismo questa è la prova che non si possono misurare e confrontare tutti i beni sulla base di una graduatoria comune. NDR Gli economisti sanitari hanno superato le difficoltà dell'analisi costo-beneficio attraverso l'analisi costo-efficacia e costo-utilità. Gli strumenti della teoria dell'utilità attesa e dell'analisi delle decisioni sono molto interessanti, ma vanno maneggiati con saggezza. J. stuart Mill, 60 anni dopo Bentham, riteneva che fosse possibile superare le 2 obiezioni:

1) che trascurasse la dignità e i diritti delle persone

2) che non fosse possibile ridurre tutto a una medesima scala di valori.

Per Mill l'utilità va fondata sugli interessi permanenti dell'umanità, su quelli che le permettono di progredire. In questo senso non calpesta i diritti anche quando sono delle  minoranze. Inoltre, riconosce dei piaceri "superiori" e non riduce tutto quanto a una grossolana somma di piaceri e di dolori.



Cap 3 Abbiamo la proprietà di noi stessi? Il libertarismo.

Abbiamo la proprietà di noi stessi? Il libertarismo


Autori: Milton Friedman- Stato minimo

Robert Nozick (teorico maggiore del libertarismo) Filosofia del libero mercato

Vedi casi di vendita del rene, di suicidio assistito, cannibalismo consensuale….

Il talento di Jordan (giocatore di pallacanestro):

-    che merito abbiamo per un talento sopra la media?

-    Che merito abbiamo se la società valuta tanto le nostre abilità?

-    

Cap 4 Manodopera salariata: i mercati e la morale


Il libero mercato trova consenso sia da parte dei libertari (in nome della libertà individuale) che degli utilitaristi (in nome dei reciproci vantaggi che derivano da un libero scambio).

Ma il libero mercato è equo? Esistono beni che il denaro non può o non dovrebbe comprare? Le scelte che vi si compiono sono sempre libere?

Ad esempio, qual è la scelta giusta tra esercito di leva o a pagamento? L’uso del termine esercito volontario è improprio perché in realtà si tratta di personale pagato. Se la leva può essere vista come una forma di costrizione inammissibile, siamo sicuri che per i volontari non valga la pressione del bisogno?

Certo, se la società non fosse soggetta ad abissali disuguaglianze non si potrebbe parlare di pressione del bisogno, e l’esercito fatto di “volontari” potrebbe essere giusto.

Potrebbero venirci in aiuto Kant e Rawls che al cuore della giustizia mettono la libertà (quella vera, non la libertà fittizia dei libertari).

Secondo alcuni il servizio militare non è un mestiere come un altro, ma un obbligo civile, un dovere cui non ci si può sottrarre. Inoltre, l’esenzione dal sacrificio condiviso della leva obbligatoria rende meno pressante l’obbligo di rispondere delle proprie decisioni per chi gestisce il potere.

Un altro esempio è dato dal caso di uteri in affitto…. O anche di gravidanze eterologhe

Questo potrebbe essere un esercizio utile da svolgere in classe….

La scelta è veramente libera quando non si è schiacciati dalla pressione del bisogno e quando il consenso è “informato”.

Inoltre, la gravidanza e i neonati non possono essere trattati come merce. Gli esseri umani sono persone che meritano rispetto, non oggetti da usare (Kant). Ci sono certi beni superiori che il denaro non può comprare?



capitolo su Aristotele vedi:

vedi Mancuso ed etica 


Cap 5 Quel che conta è l'intenzione: Immanuel Kant


Se i diritti non sono fondati sull'utilità e sulla massimizzazione del benessere, qual è il loro fondamento etico? Per i libertari le persone non possono essere usate per il benessere degli altri. Ma se i diritti umani vanno rispettati indipendentemente dal fatto che vadano tutelate le scelte libere e consensuali degli individui, nemmeno la libertà, almeno intesa alla maniera dei libertaristi, costituisce il fondamento etico dei diritti umani.

La libertà, ad esempio, può implicare il cannibalismo umano o la vendita di sé stessi come schiavi. Per Kant i diritti e i doveri degli esseri umani non derivano dal fatto che siamo padroni di noi stessi o dal fatto che la nostra libertà e la nostra vita sono doni di Dio. Derivano, invece, dal fatto che siamo esseri razionali, capaci di libero arbitrio.

La giustizia per gli utilitaristi consiste nel massimizzare il benessere; per i libertari nel rispettare la libertà. Per Aristotele consiste nel riconoscere e premiare la virtù. Per Kant la giustizia è rispettare la libertà, non nel senso della libertà di scelta che si esprime nei mercati, ma la libertà che si riesce ad esprimere quando non si è condizionati né dalla natura né dal conformismo della cultura: una libertà che proviene dal senso del dovere che avvertiamo dentro di noi nella riflessione e nel dialogo tra le varie anime di un io multiforme. Agire liberamente non significa scegliere il mezzo migliore per raggiungere un determinato fine, ma scegliere il fine stesso, per le sue stesse virtù. NDR l'intelligenza, per Gadamer è la capacità di scegliere i fini giusti nella vita

Rispettare la dignità umana significa trattare le persone come fini in sé stesse, non come strumenti. Il valore morale di un'azione non deriva dalle sue conseguenze, ma dalla motivazione che la origina. Bisogna fare la cosa giusta per la ragione giusta. A proposito di eutanasia, per Kant si ha il dovere di conservare la propria vita, non si può uccidere. NDR a proposito di "dovere" rispetto alle reazioni istintive, alle inclinazioni, le neuroscienze ci fanno apprezzare l'importanza della riflessione e della inibizione delle risposte istintive, dei comportamenti stereotipati. L'azione morale nasce da un continuo interrogarsi. La libertà e la razionalità di Kant che conferisce dignità all'essere umano consiste in questa capacità umana di trascendere la propria natura e cultura.

Secondo i filosofi empiristi, tra cui gli utilitaristi, la ragione è una facoltà strumentale che ci fa trovare i mezzi giusti per raggiungere determinati fini che non sono posti dalla ragione, ma sono dati. Invece, per Kant come per Gadamer, la ragione deve determinare i fini che vale la pena perseguire. Kant distingue gli imperativi ipotetici dagli imperativi categorici, Quando l'azione è buona solo in quanto mezzo per arrivare a un altro obbiettivo, l'imperativo è ipotetico. Se, viceversa, l'azione è buona in sé stessa, l'imperativo diventa categorico. Kant presenta più versioni dell'imperativo categorico. la prima dice:

- dà alla tua massima un valore universale. La seconda dice: tratta le persone come fini. 

Il principio kantiano del rispetto della dignità umana fonda le dottrine dei diritti umani universali. La sua opera: "La fondazione della metafisica dei costumi" del 1785 viene pubblicata dopo il 1776 (dichiarazione d'indipendenza degli Usa) e prima del 1789.

Secondo la morale kantiana le dichiarazioni veritiere, pur se ingannevoli o elusive in circostanze particolari, sono moralmente lecite.

Kant non ha dedicato alla teoria della giustizia, all'etica pubblica, opere di grande respiro. Tuttavia, egli rifiuta l'utilitarismo non solo come fondamento dell'etica personale, ma anche come fondamento della legge. Questo perché le persone hanno opinioni diverse sulla felicità e sui suoi obbiettivi empirici. Fondare la costituzione su una concezione specifica della felicità significherebbe imporre ad alcuni i valori degli altri e non rispetterebbe la libertà e la dignità di ogni essere umano. Bisognerebbe fare scaturire la giustizia e i diritti da un contratto sociale. Ma Kant non ci ha spiegato quale dovrebbe essere la configurazione di questo contratto immaginario né quali principi di giustizia ne scaturirebbero.  A questi interrogativi, invece, cercherà di rispondere J. Rawls un paio di secoli dopo.


6 Il problema dell'equità: J. Rawls


L'ignoranza della legge non può essere invocata a propria discolpa. Questo è un principio giuridico. Possiamo ipotizzare che la costituzione, che è alla base di tutte le leggi, non debba essere ignorata dai cittadini e possa quindi, essere vincolante per tutti loro? Ma come possono i principi costituzionali avere un potere cogente su ognuno di noi, anche se non abbiamo avuto alcun ruolo nel definirli?

Locke parla di un consenso tacito, implicito espresso nel momento in cui si gode di un qualche diritto di cittadinanza.

Kant parla di un consenso "ipotetico" che daremmo a una legge giusta, ossia quella che potremmo immaginare approvata dall'insieme della popolazione.

E' J. Rawls che ci indica in modo più accurato quali dovrebbero essere i principi regolatori della nostra convivenza civile. Sono quei principi cui daremmo il nostro assenso trovandoci in un a situazione iniziale di uguaglianza. Le nostre scelte dovrebbero compiersi prescindendo dalla posizione economica-sociale-culturale che occupiamo. Dovremmo essere come offuscati da un velo di ignoranza. Non sceglieremmo in base ai criteri dell'utilitarismo perché potremmo appartenere a una minoranza oppressa. Non sceglieremmo in base al libertarismo perché potremmo essere il risultato di un'estrazione sfortunata nella roulette biologica e sociale cui sono sottoposte le nostre esistenze. 

Prima di tutto dovremmo sottoscrivere il principio della più ampia libertà possibile. Poi, dovremmo assicurare a tutti un'equa eguaglianza delle opportunità. Questo non implica che reddito e ricchezza siano distribuiti in modo egualitario, ma consente solo quelle disuguaglianze economico-sociali che finiscono per favorire i membri più svantaggiati della società. 

Per valutare la forza morale del contratto sociale ipotetico di JR è utile considerare i limiti etici dei contratti effettivamente esistenti.

I contratti hanno una validità morale nel momento in cui realizzano i 2 ideali dell'autonomia e della reciprocità.

L'autonomia presuppone un consenso informato, libero.

La reciprocità presuppone che ci siano equi vantaggi reciproci per chi sottoscrive i contratti. Ma attenzione! L'obbligo di porre in essere i contratti scaturisce dall'obbligo di ripagare gli altri per i vantaggi che ci procurano. L'obbligo può sussistere anche nel caso in cui non sia stato dato alcun consenso. D'altra parte, l'esistenza di un accordo consensuale non ne garantisce l'equità. Solo il velo d'ignoranza assicura la parità di potere e di conoscenza. La configurazione arbitraria del mondo deve essere corretta modificando le circostanze della posizione contrattuale di partenza. In queste circostanze, non adotteremmo né l'utilitarismo né il libertarismo, ma adotteremmo il principio di differenza, per cui sarebbero consentite solo quelle disparità sociali capaci di tornare a vantaggio dei membri meno favoriti della società. Non si deve far dipendere la distribuzione dei redditi e delle opportunità da fattori arbitrari da un punto di vista etico. Certo, il libertarismo con la sua fede nel mercato costituisce un passo avanti rispetto al sistema feudale delle caste per cui chi godeva di nobili natali poteva fruire di diritti e poteri sconosciuti a tutti gli altri. Ma anche le società fondate sul mercato (mercato libero con parità formale delle opportunità) sono arbitrarie da un punto di vista etico. Il potere contrattuale non è necessariamente distribuito in modo equo tra i contraenti. Pure le società meritocratiche non si sottraggono all'arbitrarietà della lotteria sociale né a quelle della lotteria naturale e biologica. Ma l'unica alternativa a una società di mercato meritocratica (che premia i talenti e le attitudini naturali) non è l'imposizione di un handicap a chi possiede delle doti superiori. Sembra meglio l'egualitarismo liberale di JR. Il suo principio di differenza implica l'incoraggiamento dei più dotati a sviluppare ed esercitare i propri talenti affinché i compensi ottenuti sul mercato grazie a queste capacità appartengano, almeno in parte alla comunità nel suo complesso.

1 Prima obiezione: non è disincentivante?

La misura delle disparità di reddito consentito è condizionata dal miglioramento del destino dei meno fortunati. Le differenza di reddito sono giuste quando stimolano un impegno maggiore che in ultima analisi aiuta i meno fortunati.

2 obiezione: che ne è dell'impegno?

Che fine fa l'impegno che le persone affrontano per portare a maturazione le loro doti?

Non bisogna dimenticare che l'impegno è, in parte, il frutto di un ambiente familiare e sociale favorevole. L'impegno dipende da circostanze contingenti per le quali non possiamo attribuirci alcun merito. A parità di altri fattori è più probabile che a impegnarsi coscienziosamente sia una persona più ricca di talento. Inoltre, da un'indagine risulterebbe che l'ordine di nascita influisca sulla capacità di impegnarsi e sulla dedizione. Si tratta, quindi, di fattori arbitrari.

- a) quindi, il possesso di talenti che mi consentono di riuscire nella competizione meglio di altri non può essere solo un mio merito

- b) inoltre, le doti che una società mostra di apprezzare nelle diverse epoche sono moralmente arbitrarie. (in società bellicose il maggior prestigio veniva attribuito a chi mostrava maggior forza e aggressività; in società capitalistiche a chi possiede spirito imprenditoriale; in società burocratiche a chi sa mantenere rapporti distesi e subordinati coi superiori; in una società democratica a chi è telegenico e parla con frasi brevi e superficiali).

Come altrimenti, potremmo accettare che  un conduttore televisivo abbia uno stipendio 100 volte superiore al presidente della corte suprema degli Usa?

E' vero che abbiamo il diritto di ottenere i benefici che le regole del gioco ci promettono in cambio dell'esercizio dei nostri talenti. Ma sarebbe una presunzione sbagliata supporre che ci siamo meritati una società disposta ad apprezzare le doti di cui siamo ricchi.

La teoria della giustizia di J.R. rappresenta la tesi più convincente a favore di una maggiore uguaglianza sociale finora elaborata dalla filosofia politica americana.


7 cap Pro e contro la discriminazione positiva


Che legittimità morale può avere una discriminazione positiva attuata nei confronti di certe minoranze etniche per l'accesso ad alcune facoltà universitarie di legge? Viola o meno le norme costituzionali che assicurano l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi? A parte l'eventuale contrasto con la costituzione, cosa si potrebbe dire riguardo alle questioni etiche? Qualcuno si limita a considerare la missione dell'istituzione interessata. Nel caso citato all'inizio, uno degli scopi dell'università era di contribuire a diversificare la conformazione del corpo dei professionisti impegnati nell'amministrazione della giustizia. Questo rende credibile e accettabile l'esercizio della giustizia perché anche le minoranze etniche e religiose avendo loro membri all'interno degli apparati istituzionali si sentono più garantite. Ma la missione dell'istituzione può essere definita in qualsiasi modo o deve, in qualche misura, tener conto della natura dell'istituzione stessa, dei meriti, delle virtù. Rinunciare al merito morale come fondamento della giustizia distributiva è attraente dal punto di vista etico, ma anche inquietante.

E' attraente perché scalza il pregiudizio diffuso nelle società meritocratiche per cui il successo va a coronare la virtù e chi possiede di più merita maggiormente di chi possiede di meno. Secondo JR, nessuno merita le proprie eventuali superiori doti di natura né un punto di partenza più favorevole nella società. E', però, anche inquietante. Forse, infatti, non è possibile separare sul piano politico o filosofico gli argomenti relativi alla giustizia dalle discussioni sul merito in modo così drastico come fanno JR e Dworkin. La giustizia distributiva non può prescindere dallo stabilire quali sono le virtù da promuovere e le doti da premiare.

Inoltre, le istituzioni sociali, nel definire la loro missione, devono interrogarsi sui valori che vogliono onorare e promuovere. 

E' vero che può essere difficile accordarsi sul significato dei beni, la natura delle istituzioni, le virtù da onorare. Per questo R. e Kant hanno tentato di trovare un fondamento della giustizia neutrale rispetto alle diverse concezioni di vita buona. Tuttavia, la difficoltà di affrontare questi problemi non deve metterne in discussione la necessità.


8 Chi merita che cosa? Aristotele capitolo su Aristotele vedi:


La filosofia politica di Aristotele (384-322 a.C), la sua teoria della giustizia si basa su 2 idee centrali:

1) prima di tutto definire i diritti nell'ambito di un'attività sociale (es. la scuola, l'università, la sanità, il lavoro..) richiede di configurarne il telos (il fine, la natura essenziale, che non è fissata una volta per tutte, ma neppure è una semplice questione di opinioni)

2) Inoltre, ragionare sul telos di un'attività implica, almeno in parte, dibattere su quali virtù essa sarebbe tenuta a onorare e premiare. 

Giustizia significa dare alle persone ciò che meritano, riconoscere e onorare la virtù. Le motivazioni valide del merito dipendono da quale sia l'oggetto da distribuire.

Ad esempio, se ci fossero dei flauti da distribuire, dovremmo ragionare sul fine che il bene flauto si propone di ottenere. Siccome i flauti sono fatti per ottenere buona musica, dovremmo distribuire i migliori ai musicisti più bravi. Questo è un esempio di ragionamento teleologico. Nel mondo antico il pensiero teleologico era molto più radicato di quanto accade oggi. Platone e Aristotele credevano che il fuoco salisse verso l'alto perché mirava a raggiungere il cielo, la sua dimora naturale e che le pietre cadessero perché tendevano ad avvicinarsi alla terra cui appartenevano. L'idea era che la natura avesse un ordine significativo. Comprenderlo e comprendere il nostro posto al suo interno significava cogliere il suo scopo, il suo senso essenziale.

Con l'avvento della scienza moderna la natura cessò di essere vista come un ordine significante e fu compresa, invece, in senso meccanicistico e quantitativo, riconducibile alle leggi della fisica. Spiegare i fenomeni naturali in termini di scopi e significati viene considerato un antropomorfismo ingenuo. Avendo, così, rifiutato il pensiero teleologico nella scienza tendiamo a respingerlo anche in materia di politica ed etica. Invece, non è facile fare a meno del ragionamento teleologico quando si riflette sulle istituzioni e la politica. Oggi nessuno scienziato legge le sue opere di biologia e di fisica prendendole sul serio. Ma gli studiosi di filosofia politica e di morale continuano a meditare gli scritti di Aristotele.

L'idea di politica. Noi tendiamo a non riconoscere alla politica uno specifico telos (siamo riluttanti a farlo perché temiamo di limitare la libertà degli individui). Perciò consideriamo la politica come un insieme di procedure che permettono alle persone di scegliere da sé il proprio obbiettivo. Oltre tutto, nessuno analizza criticamente i programmi dei partiti e di chi si candida. Per Aristotele, invece, il telos della politica è formare dei buoni cittadini, coltivare una buona indole, promuovere la virtù. E' un'occasione per dispiegare le nostre facoltà umane, è un aspetto essenziale della vita buona.

Idea di felicità. Non è come per gli utilitaristi la prevalenza del piacere rispetto al dolore, nella misura massima possibile. La felicità è fare la cosa giusta perché in questo modo la persona virtuosa ricava piacere. La felicità non è una condizione dell'uomo, ma un modo di essere tale per cui si trae diletto dalle cose nobili e ci si addolora per quelle vili. La virtù etica deriva dall'abitudine, dalla pratica. E' una di quelle cose che si imparano facendole. Diventiamo giusti compiendo cose giuste. 

Lo scopo primario della legge, della politica è coltivare le abitudini che portano a formare il buon carattere. L'educazione morale consiste nell'imparare a distinguere quali particolari caratteri di una situazione richiedono di applicare una regola anziché l'altra. La difficoltà è di riuscire a fare la cosa giusta per la persona giusta, nella giusta misura, al momento giusto, per il giusto motivo e nel giusto modo. La virtù morale richiede saggezza. A differenza della scienza che è conoscenza degli universali, la saggezza richiede di conoscere anche i particolari. Essa, infatti, riguarda l'azione, e l'azione riguarda i casi particolari.



9 Cosa dobbiamo gli uni agli altri? I dilemmi della lealtà

La Germania, gli Usa, il Giappone e il Sud-Africa hanno per motivi diversi chiesto scusa alle loro vittime per le ingiustizie di cui si sono macchiati nel passato. In modi diversi hanno provveduto a risarcimenti materiali e morali. Ma come possiamo avvertire la responsabilità di azioni commesse da altri ancora prima che nascessimo, per eventi, quindi completamente al di fuori del nostro controllo?

Secondo l'individualismo etico la nostra responsabilità morale viene implicata solo nel caso di azioni che hanno il nostro consenso e che sono liberamente scelte. Per Kant essere autonomi significa essere governati da una legge che noi stessi ci siamo dati, al di là degli interessi specifici e delle tradizioni. Anche per JR per essere autenticamente liberi occorre prescindere dalla posizione che occupiamo nella società e decidere sotto un velo d'ignoranza. Per JR bisogna mettersi in una condizione di uguaglianza originaria. In quanto soggetti etici non siamo definiti dai nostri fini, ma dalla nostra capacità di scegliere e dal contesto di diritti in cui sceglieremmo di trovarci in una condizione di massima incertezza relativa al nostro destino.

Da notare che le politiche di sicurezza sociale promesse da Roosvelt tra il 1933 e il 34, dopo la crisi del 29 (cure sanitarie, istruzione, occupazione, diritto al reddito...) avevano lo scopo di tutelare il diritto individuale alla libertà poiché gli uomini in stato di necessità non sono autenticamente liberi. Non erano, quindi, motivati dal dovere della solidarietà, ma dalla volontà di rispettare le libertà individuali. NDR questo ha implicazioni per prevenzione...La solidarietà, invece, scatta dopo che si è manifestato il bisogno

Ma Sandel non crede che la libera scelta kantiana e neppure la libera scelta in condizioni di equità offra una base adeguata per una società giusta. In opposizione a JR, negli anni 80 si sviluppò la critica comunitarista del liberalismo contemporaneo. Noi, infatti, non siamo in grado di ragionare sulla giustizia astraendoci dai nostri obbiettivi e dai nostri legami. Noi, infatti, siamo esseri narranti iscritti in una certa storia di cui siamo parte. Noi non abbiamo semplicemente una storia, siamo, per molti versi, la nostra storia. Riflettere sui temi etici riguarda l'interpretazione delle mie vicende esistenziali, piuttosto che l'esercizio di una mia volontà sovrana. L'aspetto narrativo della riflessione etica è connesso con la condizione di membro di una comunità. Oltre ai doveri naturali che non richiedono consenso e sono universali, come trattare gli altri con rispetto, esercitare la giustizia, astenersi dalla crudeltà; oltre gli obblighi volontari cui ci sottomettiamo consensualmente e liberamente, per la critica comunitarista esistono anche dei doveri che originano dal riconoscimento che la mia biografia è interconnessa con quella di altri. Ad esempio, esistono obblighi familiari; esiste anche il patriottismo, secondo cui i membri di una nazione sono tenuti a osservare gli uni verso gli altri obblighi superiori a quelli che li legano ad altri popoli del mondo. Quasi tutti riconoscono una distinzione tra Stato sociale e cooperazione internazionale. E' una distinzione eticamente difendibile o si tratta di mero favoritismo, di un pregiudizio  a favore di coloro che consideriamo "i nostri"?

Qual è in realtà, il senso etico dei confini nazionali? Ma in un mondo dove distanze abissali separano i Paesi ricchi dai paesi poveri, le esigenze imposte dall'appartenenza a una comunità possono entrare in conflitto con quelle imposte dall'uguaglianza, un conflitto che si riflette sulla questione esplosiva dell'immigrazione. Per le nazioni ricche le restrizioni all'immigrazione servono anche a conservare il privilegio perché si procurerebbe un carico straordinario sui servizi sociali. Ma l'obiezione più persuasiva è che si ridurrebbe il reddito della manodopera meno qualificata costituita dai nostri concittadini più sfortunati. Ma gli "obblighi di solidarietà possono anche puntare verso l'esterno come nel caso dei tedeschi e degli ebrei nel dopoguerra. Finché non andiamo a infrangere i diritti altrui possiamo adempiere al dovere generale di aiutare gli altri che troviamo a portata di mano come i familiari o i compaesani. Non c'è nulla di male se un Paese ha un sistema di sicurezza sociale generoso purché rispetti i diritti umani di tutta l'umanità, dovunque si trovi. Gli obblighi di solidarietà e di appartenenza diventano discutibili solo quando ci portano a contravvenire a un dovere naturale. Tuttavia, secondo la concezione narrativa delle persone, i doveri dettati dalla solidarietà possono essere esigenti a tal punto da entrare in conflitto coi doveri naturali. Abbiamo, così, messo in dubbio l'idea contrattualistica per cui siamo noi gli autori degli obblighi che ci vincolano moralmente in aggiunta ai doveri universali cui siamo tenuti. In realtà ci sono obblighi di solidarietà e di appartenenza che provengono dalla nostra storia, dalla comunità che abitiamo. In realtà non si può riflettere sulla forma della giustizia, sul diritto senza prima riflettere sulla forma di vita buona. Una politica svuotata di un concreto impegno etico produce una vita civile impoverita. Ma quale aspetto dovrebbe avere un dibattito pubblico più impegnato in  senso etico?


10 La giustizia e il bene comune

L'aspirazione alla neutralità in ambito religioso ed etico è stata coltivata sia dai progressisti che dai conservatori. Da questi ultimi soprattutto nell'ambito delle scelte economiche per via della contrarietà all'intervento dello Stato nel libero mercato. Dai progressisti, invece, soprattutto in tema di comportamento sessuale e di riproduzione.

Ma, secondo la critica dei comunitaristi al liberalismo contemporaneo, i temi etici e religiosi dovevano acquistare una più spiccata rilevanza nell'attività pubblica. Non si possono, infatti, prendere decisioni, in materia di giustizia e di diritti, senza risolvere importanti questioni etiche. Ad esempio, sul problema dell'aborto, bisognerebbe prima di tutto risolvere in qualche modo la controversia etico e religiosa sullo statuto etico dell'embrione: si tratta di una persona o no? In quale momento inizia la vita della persona? Lo stesso vale per la ricerca sulle cellule staminali. Non basta invocare il principio della libera scelta. Si tratta, infatti, di stabilire se le pratiche di cui si parla tolgano la vita a degli esseri umani.

Anche le questioni che riguardano il riconoscimento e l'autorizzazione dello Stato al matrimonio di 2 persone dello stesso sesso richiede di entrare nelle dispute di carattere etico e religioso circa il fine del matrimonio e la posizione etica dell'omosessualità. Un argomento a favore del riconoscimento statale riguarda l'ingiusta discriminazione degli omosessuali cui sarebbe negata l'uguaglianza di fronte alla legge. Ma, in ultima analisi, non si può decidere senza ragionare sulle finalità, sul telos del matrimonio. E, come ci ricorda Aristotele, quando si discute sul fine di un'istituzione sociale, si discute sulle virtù che l'istituzione stessa onora e premia. L'autonomia e la libertà di scelta non sono sufficienti a giustificare il diritto a contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso. Se il legislatore si mantenesse davvero neutrale sul valore morale di tutti i rapporti intimi volontari, potrebbero essere riconosciute anche le unioni poligame consensuali. La vera posta in gioco nella disputa sul matrimonio omosessuale non è la libertà di scelta, ma il dubbio se le unioni tra persone dello stesso sesso siano o no degne di onore e riconoscimento da parte della comunità, se realizzano o no il fine del matrimonio in quanto istituto della società. Il matrimonio non è un accordo privato tra adulti consenzienti, ma una forma pubblica di riconoscimento e approvazione. E' sia un impegno profondamente privato tra 2 esseri umani, ma anche una celebrazione pubblica di ideali quali la reciprocità, l'amore, la fedeltà, l'intimità, la famiglia.

L'essenza del matrimonio non è la procreazione, ma un esclusivo impegno amoroso che lega i 2 coniugi, siamo essi omosessuali o eterosessuali. I rapporti tra persone dello stesso sesso sono degni di rispetto quanto quelli etero-sessuali.

Nel libro si è dibattuto di 3 diverse concezioni della giustizia:

1) SECONDO GLI UTILITARISTI giustizia significa massimizzare il benessere della maggioranza

2) Secondo altri, giustizia significa rispettare la libertà di scelta sia riguardo alle scelte da compiere in un libero mercato (libertaristi), sia alle scelte ipotetiche che le persone porebbero compiere in una posizione di originaria uguaglianza, sotto un velo di ignoranza. Secondo questa concezione, il valore dei nostri obbiettivi e il significato della vita esulano dalla riflessione sulla giustizia. 

3) Secondo Aristotele, invece, la giustizia significa coltivare la virtù e promuovere la vita buona e il bene comune. La giustizia deve, così, pronunciare inevitabilmente dei giudizi. Essa non riguarda esclusivamente il modo di distribuire cariche ed onori, ma anche il modo giusto di valutarli. Occorre immaginare una politica che prenda sul serio le questioni etiche e spirituali e rifletta sul loro impatto in materie economiche e civili, non solo sul sesso o sull'aborto. La politica non può limitarsi a promuovere il benessere materiale, ma anche quello sanitario e sociale, interrogandosi sulla crisi di senso da cui sono afflitte tante esistenze. Occorre anche che la politica stabilisca i confini etici dei mercati. Sottoporre, infatti, le pratiche sociali come la sanità, l'istruzione, la gravidanza, il carcere, la sicurezza, la difesa alla logica del mercato non solo potrebbe aumentare le disuguaglianza abissali che già esistono, ma potrebbe degradare e corrompere le norme che definiscono queste pratiche. Ci si interessa poco delle disuguaglianze eccessive. Esse non diminuiscono solo il benessere del maggior numero (per via della legge dei benefici marginali decrescenti) né richiedono solo di essere attenuate sulla base di un consenso razionale (JR). Esse sono anche corrosive socialmente. 1 Aumentano il risentimento, 2 conducono al deterioramento di istituzioni che non sono più utilizzate dai ricchi 3 privano la vita pubblica di luoghi comuni di incontro tra diversi e, così, rendono difficile coltivare la solidarietà. Anziché, allora, concentrarsi sulla redistribuzione per aumentare i consumi privati, bisognerebbe investire nella ricostruzione delle infrastrutture civili (scuole, trasporti, sanità, verde pubblico..) Negli ultimi decenni abbiamo creduto che rispettare le convinzioni etiche e religiose dei nostri concittadini significhi ignorarle. ma questo porta a un impoverimento del discorso pubblico che passa da una notizia all'altra e si concentra su scandali, sensazionalismo e pettegolezzi. Una politica impegnata su temi etici rappresenta un fondamento più promettente per una società giusta.