Prologo
Per molti di noi il futuro si presenta come una minaccia. Come si può restituire fiducia e speranza? L'idea del reddito di base incondizionato sembra servire allo scopo di offrire sicurezza economica. Soprattutto oggi, in presenza di forti disuguaglianze, aumento dei processi di automazione e maggiore consapevolezza dei limiti ecologici della crescita, spinta da una domanda estesa che coinvolge tanti Paesi emergenti. Il libro fa una sintesi critica sull'argomento affrontando le più importanti obiezioni alla sua auspicabilità e fattibilità, senza eludere i fatti scomodi e le difficoltà imbarazzanti. Il reddito di base è parte essenziale di una radicale alternativa sia al vecchio socialismo che al neoliberismo. E' un'utopia realistica che significa qualcosa di più rispetto alla difesa delle passate conquiste o alla resistenza di fronte ai guasti del mercato globale.
NDR Reddito di cittadinanza in Italia ha alcuni difetti:1 non è integrato con il welfare state, ma si è solo aggiunto, lasciando il resto come prima;2 non c'è una copertura amministrativa adeguata, date anche le complicazioni delle procedure che possono così allontanare proprio i più bisognosi;3 assume che ci sia il lavoro e che il lavoratore non venga valutato dal datore di lavoro, ma il mercato del lavoro è cambiato!
Cap 1
A rendere problematica la situazione politica non ci sono solo crescenti disuguaglianze, processi di automazione e emergenza climatica. Sono entrate in crisi le tradizionali istituzioni protettive: dalla famiglia ai sindacati, ai monopoli di stato, ai sistemi di welfare. La combinazione di queste tendenze determina delle interazioni esplosive che per alcuni si traducono in nuove forme di schiavitù. Non possiamo confidare nella crescita per uscire dalla trappola della disoccupazione e della precarietà :
a) per via dei limiti ecologici;
b) in Europa e in nord America c'è chi prevede una stagnazione secolare;
c) negli anni 60 il Pil pro-capite si è duplicato o triplicato, ma disoccupazione e precarietà non sono scomparsi. E' plausibile che il problema si aggravi. Date le circostanze occorre escogitare degli strumenti che garantiscano la sussistenza. Lo strumento più tradizionale ha a che fare con il reddito minimo garantito, una forma dell'assistenza pubblica. Ma esso è condizionato al fatto di essere indigenti al di là della propria buona volontà. Instaura, così, una sorta di dipendenza dalla indigenza. Inoltre, impone delle misure di controllo invasive e umilianti. Un altro strumento è il reddito di base incondizionato. Non richiede alcun obbligo, è strettamente individuale, è universale. E' riservato ai membri di una comunità appositamente definita. Potrebbe variare in base all'età. Può variare nel tempo. Deve essere pagato regolarmente (mensilmente) e avere un carattere stabile: abbastanza contenuto per essere sostenibile e abbastanza consistente per fare la differenza (ad esempio, un importo dell'ordine del 25% del Pil pro-capite mondiale equivarrebbe a circa 210 $ al mese. Esso sostituirebbe solo i sussidi economici che sono inferiori ad esso. Non dovrebbe essere inteso come sostituto di tutti gli assegni esistenti, né del finanziamento pubblico di istruzione e sanità e altri servizi, tra cui un ambiente piacevole e sano. Il suo scopo non è solo quello di alleviare la miseria, ma di liberarci tutti da questo rischio. E' un elemento essenziale di una società trasformata e di un mondo reso desiderabile. Spesso vige la preoccupazione che il denaro assegnato in questo modo non venga speso bene. Si preferisce offrire beni in natura o voucher. Esso, però, richiede molta meno burocrazia. E, soprattutto, conferisce a tutti maggiore libertà e responsabilità. E' importante che sia individuale, così ridistribuisce potere all'interno della famiglia e non condiziona a vivere da single per veder aumentare il proprio assegno. Può sembrare paradossale, ma il sistema di tassazione o sussidi più strettamente individuale è quello che promuove maggiormente la coabitazione e la vita comunitaria. Il reddito minimo garantito ha un importo massimo quando i redditi da altre fonti sono pari a 0. Per ogni reddito superiore allo 0 è come se la tassazione raggiungesse il 100%. Esso agisce ex post, dopo l'accertamento dell'entità del reddito. Le procedure d'accesso non sono semplici e possono allontanare proprio i più bisognosi. Danno, poi, spazio a arbitrarietà e clientelismo. Il reddito di base universale e incondizionato (u. e i.), invece, agisce ex ante. Nell'era delle ritenute di imposta alla fonte e dei trasferimenti elettronici automatici i costi amministrativi connessi col provvedimento si riducono tantissimo. Esso fa uscire dalla trappola della disoccupazione in quanto per molti recettori del reddito minimo garantito risulta preferibile non lavorare piuttosto che perdere il sussidio. Inoltre, il reddito inferiore alla soglia minima garantita viene praticamente tassato al 100% (/si preferisce non lavorare: trappola della disoccupazione o della povertà).La libertà da obblighi contrasta la trappola del lavoro per cui ci si sente costretti a qualsiasi lavoro anche infimo e sottopagato. Il vero destinatario del sussidio, in questo caso, sarebbe il datore di quel tipo di lavoro. Il livello medio dei salari potrebbe diminuire. Col reddito di base i., invece, la qualità del lavoro sarebbe accresciuta. Un effetto sarebbe la sostituzione parziale della produzione in azienda con la "produzione" domestica nella famiglia. La combinazione di universalità e assenza di obblighi favorisce la creazione e la sopravvivenza di lavori che necessitano di una qualifica di alto livello. Facilita il part time, la conciliazione tra lavoro e famiglia, un mercato del lavoro più flessibile e rilassato, più adatto agli sviluppi del capitale umano. Ci si può muovere con disinvoltura tra lavoro retribuito, istruzione, attività di cura e volontariato. Non si finisce, così, per desacralizzare il lavoro retribuito? Tutti, infatti, percepirebbero un reddito senza lavorare. Il reddito faciliterebbe, da parte di tutti, la ricerca di qualcosa che ci piaccia fare e facciamo bene, sia o meno un lavoro retribuito. Di qui a non molto saremo costretti a mettere in comune il lavoro superstite. Il reddito di base consente di muoversi in questa direzione. Piena occupazione può significare anche un buon lavoro retribuito per tutti quelli che lo desiderano. Può avvenire a spese dei consumi materiali. Si può essere agnostici rispetto alla crescita. L'importante è che aumenti il benessere della popolazione
.Cap 2
A differenza della dotazione di base, il reddito di base mira a garantire la sicurezza economica lungo tutto il corso della vita. Meglio 1000 $ al mese piuttosto che 250.000 $ in un'unica soluzione. L'imposta negativa sul reddito, dal canto suo, andrebbe versata anticipatamente e poi conguagliata dopo i calcoli opportuni. Genera, comunque, stigmatizzazione in quanto è un intervento rivolto ai poveri. Da un punto di vista politico, però, è più fattibile. NB La finalità ultima della politica sociale ed economica è rendere le persone libere (ndr dando loro gli strumenti per scelte appropriate).Le proposte di riduzione del numero di ore di lavoro (es. settimana lavorativa a 21 ore) rischiano di essere controproducenti e inaccettabili. I lavoratori peggio pagati rischierebbero di cadere in povertà. Nel caso in cui la riduzione del tempo di lavoro corrispondesse con un aumento di produttività non ci sarebbero più ore da ridistribuire. In caso contrario, si potrebbe prevedere una diminuzione della domanda di lavoro a fronte di un aumento del costo unitario. La disoccupazione, contrariamente ai desideri, crescerebbe. Il reddito di base, viceversa, è un dispositivo di condivisione del lavoro che permette di curare coloro che stanno male o perché lavorano troppo o perché non riescono a trovare lavoro.
Cap 3
La presitoria: assistenza pubblica e previdenza sociale L'idea del reddito di base nacque alla fine del 700. La sua storia può essere meglio compresa alla luce dell'esame degli altri 2 modelli di protezione sociale che si sono sviluppati: l'assistenza pubblica e la previdenza sociale. Il primo appello per un programma di assistenza pubblica lo si può leggere in "De subventione pauperum" di Vives (spagnolo vissuto in Francia), un precursore (1526) dell'idea di welfare state. E' stato pubblicato 10 anni dopo Utopia di Tommaso Moro. Non c'è solo l'obbligo di soccorrere i poveri da parte dei ricchi, ma è anche necessario il coinvolgimento delle autorità civili. A partire da quegli anni molte città europee si attrezzarono per assistere un numero crescente di mendicanti. Queste pratiche si diffusero soprattutto in Inghilterra (poor laws di fine 500) e nel 600 furono esportate attraverso l'Atlantico. Qui iniziarono a fine 700 i sussidi per la disoccupazione, per le famiglie numerose, le integrazioni salariali. Malthus a fine 700 si manifestò apertamente critico verso questi provvedimenti che, a suo dire, avrebbero fomentato la pigrizia. Pure Bentham fu critico, anche se sostenne l'utilità del soccorso ai poveri, ma principalmente per aumentare la sicurezza dei possidenti. Le Poor laws vennero emendate nel 1834. Prevalse l'idea che i poveri dovessero lavorare per guadagnarsi il pane. In seguito alla rivoluzione francese furono riconosciuti nella costituzione, per la prima volta, i diritti sociali al lavoro e ai mezzi di sussistenza per gli inabili.Fu Condorcet (ndr per lui come per Thomas Paine la povertà non era un dato di natura, ma il risultato di politiche sbagliate), nel 1794, a formulare per la prima volta l'idea di previdenza sociale su base contributiva e grazie al mutuo soccorso tra i lavoratori (infortuni, malattia, invalidità e morte). L'idea di Condorcet trovò terreno fertile nell'800 con la rivoluzione industriale e l'infragilimento del sistema solidaristico tradizionale, legato al contesto agricolo. Associazioni di mutuo soccorso si diffusero con l'ascesa del movimento operaio. L'istituzione di un sistema statale di previdenza sociale venne formulata in alternativa alla rivoluzione socialista di Marx. Il cancelliere tedesco Bismark istituì tra il 1883 e il 1889 il primo sistema generale di assicurazione obbligatoria per i lavoratori contro i rischi di malattia, invalidità e anzianità con il coinvolgimento, nella sua gestione, dei datori di lavoro e dei sindacati. Ciò segnò la nascita del moderno stato sociale, la cui base si fonda sulla previdenza sociale. Anche se questi programmi non sono rivolti ai poveri, tuttavia ebbero un enorme impatto sulla povertà. Il loro sviluppo ridimensionò velocemente i programmi di assistenza pubblica. Ma tutto ciò implica l'essere entrati nel mercato del lavoro. Quando il lavoro manca o non rientra nell'economia formale, l'assistenza pubblica mantiene il suo ruolo cruciale nella lotta contro la povertà.Nel 1935 negli Usa dopo la crisi del 29, Roosvelt varò il social security act, il provvedimento fondativo del welfare state Usa.Oggi, la maggior parte degli stati europei ha attivato un qualche programma nazionale di reddito minimo. Questi programmi implicano la verifica della condizione economica e la disponibilità al lavoro da parte delle persone abili. Essi rivestono un ruolo importante in Paesi con economia largamente informali, ad esempio il Sud Africa, il Brasile, il Messico e il Cile.
Cap 4
Fu Thomas Paine, una figura di primo piano del movimento rivoluzionario americano e di quello francese, che, alla fine del 700, propose qualcosa di diverso dall'assistenza pubblica e dalla previdenza sociale: un provvedimento simile a un vero e proprio reddito di base u. e i. La legittimazione morale del provvedimento nasceva dal fatto che, con l'introduzione della proprietà fondiaria, ogni cittadino andava risarcito per la sottrazione subita. Ciò che per John Locke doveva essere una elemosina dei ricchi nei confronti dei poveri (seconda metà del 600), per T. Paine era un diritto. Perciò ogni proprietario di terra coltivata deve alla comunità una rendita fondiaria da distribuire a tutti, ricchi e poveri. Paine aggiungeva anche un'altra motivazione etica. Ogni accumulazione di proprietà personale al di là di quanto un uomo produce con le sue mani gli deriva dal fatto di vivere in società e, perciò, deve restituire alla società una parte di quanto ha accumulato. Queste idee vennero riprese e affinate da altri. Il 1848 non vide solo la pubblicazione del Manifesto di Marx e della soluzione di Charlier (esproprio della terra e prelievo di una parte del valore a favore di tutti al momento della successione ereditaria), ma fu anche l'anno della pubblicazione dei "Principi di economia politica" di J.S.Mill, uno dei classici fondativi dell'economia moderna (ndr economia classica, che include la politica: economia politica). Secondo JS Mill lo Stato non può diventare inquisitore e discriminare il povero che merita aiuto e quello che non lo merita. Ci deve essere un sistema garantito dalla legge a tutela di tutti, abili o meno, meritevoli o no. Gli incentivi vengono mantenuti attraverso la remunerazione del lavoro, del capitale e dei talenti, ma in questo modo sui garantisce anche la massima libertà d'azione individuale, anziché attraverso altre spese pubbliche. Nel primo dopoguerra Bertrand Russel sostenne un modello sociale che combinasse i vantaggi della libertà tipici dell'anarchismo con quelli del socialismo: un piccolo introito per tutti sufficiente al sostentamento. L'anarchismo contemplava la liberazione dal bisogno di lavorare per vivere. La discussione su questi temi fu particolarmente vivace nel regno Unito tra le 2 guerre. Tuttavia non si arrivò ad alcuna applicazione pratica di queste idee. Infatti, il rapporto Beveridge, nel 1942, propose una combinazione tra previdenza sociale e assistenza pubblica, non lasciando alcuno spazio per il reddito di base. Il dibattito negli Usa a favore del reddito di base si fondava sulla fede americana nel diritto e la responsabilità dell'individuo a decidere ciò che desidera e vorrebbe fare. La seconda fonte del dibattito negli Usa sul reddito di base si identifica nel personaggio di Milton Friedman (premio nobel per l'economia 1976 esponente principale della scuola di Chicago). Egli propose un'imposta negativa sul reddito (col difetto che non è erogata in aniticipo), ma secondo lui è il meccanismo più accettabile per alleviare la povertà e dovrebbe rimpiazzare buona parte dei programmi di welfare negli Usa (v. pag 140). Comunque, per MF, questa resta una seconda scelta rispetto alla beneficenza privata, nonostante contribuisca al contenimento dei danni provocati dai provvedimenti governativi che riducono tanti cittadini in una situazione di miseria. Meno ambigua fu la posizione dell'altro padre fondatore del neoliberismo (Friedrich Hayek), anch'egli premio nobel per l'economia 1974. Egli sostenne la necessità di un reddito minimo per assicurare un minimo di cibo, vestiario e abitazione. Questo diventò un compito necessario della Grande società, in cui un individuo non può più far conto sui membri del piccolo gruppo specifico in cui è nato e cresciuto. Nel 68 il premio nobel per l'economia Tobin e Galbraith, altro economista, si appellarono al congresso affinché adottasse un sistema di garanzia e integrazioni sul reddito, per poter vivere tutti delle vite dignitose, sopra il livello di povertà. La dignità dell'individuo fiorirà quando saprà di avere i mezzi per liberarsi dal bisogno e cercare l'auto-miglioramento. I presidenti Johnson (1968) e poi Nixon, repubblicano (1969) si spesero per l'attuazione di queste proposte. Poi, però, non se ne fece nulla per un'opposizione al piano, trasversale a tutti gli schieramenti.Dal 1982 in Alaska esiste un reddito di base universale e i. basato sul fatto che la costituzione riconosceva che le risorse naturali sono di proprietà dei cittadini. Il dibattito, che era stato vivace negli Usa, non ebbe che una debole eco in Europa. Ne fu avvertito il sapore "neoliberale". Pensatori come Foucault considerarono il reddito di base uno strumento funzionale alle esigenze del capitalismo. Tuttavia, nel 1986 si istituì la rete europea del reddito di base (Bien) che poi diventò una rete mondiale. Oggi, quotidianamente si avviano nuove iniziative relative al reddito di base, con una risonanza mondiale, grazie alla diffusione di Internet.
cap 5
Eticamente legittimo Il reddito di base è solito sollevare 2 obiezioni importanti da un punto di vista etico. In base alla prima si sostiene che garantire un reddito a chi non lavora equivale a premiare il vizio dell'indolenza. In base alla seconda obiezione si afferma che non è socialmente giusto che chi non lavora viva del lavoro altrui (ndr v. anche slogan del marxismo).Esistono, però, 3 motivazioni che smorzano la portata di queste obiezioni:a) nelle nostre società sembra che esista un doppio "standard" per cui la macchia del poter vivere senza lavorare riguarderebbe solo i poveri e non i ricchi che potrebbero permetterselo;b) se nel passato era necessario il lavoro della grande maggioranza per procurare cibo, alloggi, vestiario per tutti, oggi basta il lavoro di una minoranza per ottenere gli stessi beni;c) il reddito di base, essendo i. eviterebbe di far cadere nella trappola della disoccupazione in cui possono finire i percettori, ad esempio, di un reddito minimo garantito. Inoltre, la maggior parte, anche se non ottenesse un lavoro retribuito, non cadrebbe nell'ozio. Potrebbe utilizzare il suo tempo per l'istruzione, la cura dei bambini o dei vecchi genitori, nella comunità...Esistono, invece, 3 buone ragioni per cui possiamo immaginare di raggiungere un grado più elevato di giustizia sociale.1) La società dovrebbe garantire un reddito a chi è inabile al lavoro o fisicamente o psicologicamente. Distinguere queste disabilità dalla indisponibilità al lavoro è tutt'altro che semplice. Si può sbagliare, e gli errori avrebbero un impatto grave sulla vita delle persone.2) esiste una mole enorme di lavoro svolto per lo più dalle donne tra le mura domestiche che non viene retribuito. E questo è ingiusto.3) L'attrattiva di un'occupazione è legata alla sua retribuzione. I lavori peggio retribuiti, che pure vanno fatti, li svolgono quelli che non hanno altre possibilità. Il reddito di base aumenta il potere contrattuale di chi sta peggio. Contribuisce a garantire una libertà reale per tutti (v art. 3 della costituzione). Con il reddito da lavoro noi beneficiamo in modo molto diseguale del patrimonio comune di cui siamo dotati: la natura, il progresso tecnologico, l'organizzazione sociale, le infrastrutture. Il reddito di base garantisce che ciascuno abbia perlomeno una parte del patrimonio che nessuno di noi ha contribuito a creare. Se consideriamo il reddito dei nostri Paesi con quello dei Paesi più poveri ci rendiamo conto che le differenze sono dovute soprattutto a un capitale sociale accumulato nel tempo indipendente dalla nostra specifica attività. Questa componente potrebbe raggiungere il 90% della quota di reddito. Per cui, se si introducesse un'imposta ad aliquota marginale del 70%, lo Stato finirebbe per elargire molto più del dovuto. Il reddito di base non può essere classificato tra gli strumenti di redistribuzione, ma tra quelli di distribuzione perché le imposte che lo finanziano provengono dai rendimenti di un capitale di proprietà comune.Il reddito di base tende a demercificare la forza lavoro, a diffondere lavori socialmente utili, a proteggere le nostre vite dalla mobilità forzata e dalla globalizzazione distruttiva, a emancipare dal dispotismo del mercato. Rawls propendeva più per la piena occupazione e per i salari minimi che per il reddito di base. Allo stesso modo la pensa A. Sen secondo cui il metro di giustizia da adottare è quello della capacità di base (ndr che però devono essere tradotte in funzionamenti cioè in modi effettivi di essere ed agire, e questo non è garantito dal reddito, ma anche da certe forme di sapere e certi modi di sentire), come avere accesso a una quantità sufficiente di cibo, alloggio, vestiario, salute e istruzione...Tra i libertari c'è Robert Nozick. Essi comunque riconoscono che le materie prime e le risorse naturali originariamente erano di tutti... Per il Marxismo l'ozio è un vizio dei capitalisti e non deve contaminare il proletariato. Il reddito di base, su queste premesse, è una minaccia da evitare. Marx non si pone tante questioni etiche. Il suo approccio è scientifico e non ha a che fare con la desiderabilità etica, ma con la necessità storica. Non si attribuisce al socialismo una superiorità etica sul capitalismo (ad esempio, in relazione all'abolizione dello sfruttamento) ma una superiorità nel determinare una condizione di abbondanza di beni per via del coordinamento reso possibile da una pianificazione centralizzata e la diffusione delle innovazioni in assenza di competizione. Ma siccome risulta che il capitalismo è più adatto del socialismo alla produzione in abbondanza di beni, la transizione verso il comunismo potrebbe passare di qui (il reddito di base sarebbe uno strumento) anziché attraverso il socialismo.E' un'illusione credere che la crescita aumenti la qualità della vita delle società. E' già stato smentito dalla realtà. Il fatto, quindi, che il reddito di base non rappresenti una soluzione ottimale per la crescita non può essere considerato una condizione sufficiente per escluderne la introduzione. Non dobbiamo tanto guardare al miraggio della felicità, ma rendere le nostre società più umane e più giuste.