R. Skidelsky and E. Skidelsky. Quanto è abbastanza. Edizioni Mondadori, MIlano 2013.
NDR Occorre reintrodurre nel dibattito pubblico l'idea di vita buona. Essa non ha tanto a che fare con la crescita, almeno nel mondo industrializzato e nel lungo periodo. Piuttosto comporta un'attenzione particolare ai sentimenti, vale a dire alla educazione morale (vedi neuroscienze e meccanismi di regolazione del piacere). Come scegliere i beni fondamentali? Anche, ad esempio, per la salute, quali bisogni prioritari vanno soddisfatti, tramite quali criteri di selezione?
L'economia insegna come utilizzare risorse scarse per soddisfare bisogni potenzialmente illimitati. La filosofia morale e politica deve dirci qualcosa sulla natura, quantità e qualità dei bisogni da soddisfare. Il vero problema è quello dello spreco delle potenzialità umane orientate a scopi di dubbio valore, come quello di accumulare più denaro possibile.
Introduzione
Il libro offre delle argomentazioni critiche contro l'insaziabilità economica, ossia contro il desiderio di accumulare sempre più denaro. Un'insaziabilità che i marxisti riconducevano al capitalismo, e i cristiani al peccato originale. Invece, va ricondotta, soprattutto, alla natura umana, alla tendenza a confrontare la nostra fortuna con quella dei nostri simili e a provare invidia. Certo, il capitalismo ha esaltato questa attitudine. Ha contribuito, quindi, anche a una degenerazione morale sdoganando come naturali e normali i vizi dell'avidità, dell'avarizia e dell'invidia. Ha liberato l'insaziabilità dai vincoli di consuetudine e di religione entro cui era confinata in precedenza.
Questa ossessione per la crescita di ricchezza e l'accumulo di denaro ha il suo corrispettivo, a livello pubblico, nella crescita del Pil come obbiettivo prrincipale della politica economica. Invece, il Pil dovrebbe essere considerato come effetto secondario di politiche mirate a realizzare la vita buona. L'economia, infatti, va considerata una scienza morale, riferita a una comunità di esseri umani, non a interazioni tra alieni. La crescita infinita è incapace di renderci felici ed è disastrosa sul piano ambientale. Ma, soprattutto, è priva di senso. Il primo dovere dei governi è garantire, per quanto possibile, la vita buona. Ci sono, però, 5 obiezioni rispetto a queste idee.
1) Oggi la crescitra è necessaria per diminuire la disoccupazione e abbattere il debito dei governi. E' vero, ma bisogna distinguere tra politiche di breve termine, che devono tener conto di queste priorità, e politiche di lungo termine. E fare in modo, comunque, che le prime non confliggano con le seconde.
2) La proposta si rivolge al mondo già industrializzato, non è adatta per quello in via di sviluppo. E' vero, non riguarda tutta l'umanità.
3) Il tempo libero favorisce il vizio, la nevrosi e l'alcolismo. Non è così se ci si accorda su ciò che intendiamo per tempo libero.Esso non va confuso col consumo passivo, come sedersi davanti al televisore o assistere a una partita di calcio. Significa leggere, passeggiare, dedicarsi al volontariato, al giardinaggio..
4) Non va demonizzato il tentativo di fare quattrini. E' vero, ma bisogna porre delle regole per non allontanare la società dalla vita buona.
5) La pretesa di assegnare allo Stato un ruolo nella definizione della vita buona è illiberale. Esso deve limitarsi a garantire a ogni persona le condizioni per realizzare la propria concezione di vita buona. Tuttavia, questa presunta neutralità dello Stato è una pura illusione. La neutralità cosiddetta non fa altro che consegnare il potere ai custodi del capitale perché manipolino (NDR oltre che le regole) il gusto del pubblico secondo i propri interessi.
L'economia, nella sua versione ortodossa, è la scienza che studia come impiegare risorse limitate per tentare di soddisfare esigenze illimitate. L'economia in quanto tale non ha, però, molto da dire sulle esigenze da soddisfare (NDR A livelli di bisogni individuali deve essere la saggezza, l'intelligenza, secondo Gadamer, a definirli con l'aiuto della filosofia morale. A livello dei bisogni sociali e collettivi, deve essere la politica. Ciò ha a che fare con la vita buona. Il supporto della religione è essenziale per via dell'autorevolezza della sua tradizione e la capacità ispiratrice. In biologia qualsiasi cosa, a una dose eccessiva, diventa tossica). E' comunque una questione di buon senso pensare alla scarsità in rapporto alle necessità, non ai bisogni (desideri). E potremmo renderci conto che, in rapporto alle necessità, la nostra condizione non è di penuria, ma di abbondanza.Lo Stato potrebbe contribuire a liberarci da questa percezione di oppressione e insoddisfazione.
1 L'errore di Keines
Il capitalismo è un mezzo efficiente per raggiungere l'abbondanza che rende possibile una vita buona per tutti. Questa era l'opinione di Keines all'inizio degli anni 30. Nella sua profezia Keines prevedeva che avremmo tutti avuto il necessario senza essere costretti a lavorare per più di 3 ore al giorno. Si basava sull'assunto che il reddito avesse un'utilità marginale decrescente. Le ore di lavoro sarebbero, perciò, diminuite dal momento in cui l'utilità marginale di un'ora supplementare di reddito fosse equivalsa all'utilità marginale di un'ora supplementare di tempo libero. NDR Il problema di cui Keines non ha tenuto conto è la dipendenza legata all'acquisizione del denaro connessa coi meccanismi di regolazione del piacere. L'uomo non è così "economicus" come si vorrebbe far intendere. Tanto è vero che lavorano di più i benestanti. Si è verificata un'inversione della relazione negativa tra lavoro e reddito.
Un tempo gli uomini andavano in pensione a 65 anni e morivano, mediamente, 2 anni dopo. Oggi, invece, vivono mediamente ancora 15 anni. Tuttavia, è sbagliato concentrare tanto tempo libero nella parte finale dell'esistenza. Keines ha avuto il torto di non distinguere le necessità (limitate) dai bisogni, che sono illimitati sia in termini di quantità che di qualità.
Perché si lavora tanto? Anche per "paura" del tempo libero. Oggi il tempo libero è un'appendice del lavoro, non il suo sostituto. Dopo aver faticato la gente vuole staccare per ricaricarsi. Si lavora tanto anche per amore del lavoro? In aggiunta al procurarci sicurezza, il lavoro è una fonte di stimoli, di identità, di socievolezza. Ha un valore intrinseco, non è solo un mezzo per procurarsi dei beni. Ma può anche riflettere la crescente insicurezza del reddito. Per di più, la creazione di bisogni artificiali garantisce la fedeltà dei lavoratori all'etica del lavoro. L'insaziabilità dipende, quindi, dal carattere relativo dei bisogni. A nessun livello di ricchezza materiale mi sentirò soddisfatto di ciò che possiedo perché qualcuno avrà sempre di più di quello che posseggo io. Più forti sono le disuguaglianze più forte è anche la pressione competitiva a guadagnare di più.
In questo scenario l'istruzione non viene più ritenuta una preparazione alla vita buona, ma uno strumento per aumentare il valore del "capitale umano": in ultima analisi, uno strumento per aumentare produttività e profitto. (NDR istruzione come strumento per aumentare il valore del capitale umano oppure come preparazione alla vita buona)
Abbiamo perseguito un progresso incomparabile nella produzione di ricchezza, ma non abbiamo imparato come sfruttare quella ricchezza in maniera civile.
2 Il patto faustiano
Keines aveva un atteggiamento ambivalente nei confronti della civiltà capitalistica. La considerava un male necessario per almeno 100 anni per raggiungere l'abbondanza. Questa, poi, avrebbe reso possibile la vita buona. Invece, siamo rimasti vittime di un progresso senza scopo, Il sogno era legato a un'interpretazione finalistica e direzionale della storia che procedeva allontanandosi dal male e avvicinandosi al bene. Forse, invece, un'interpretazione più veritiera è quella di una storia ciclica. Machiavelli, in epoca rinascimentale (seconda metà del 400) inventò l'idea che bisognava trattare gli uomini per quello che sono e non per come dovrebbero essere. Bisogna sfruttare i vizi umani per governare le società, servirsi dell'avidità, della volubilità, dell'ipocrisia.
Mandeville, uno scrittore anglo olandese della prima metà del 700 (medico e pensatore) volle dimostrare come il vizio e la corruzione fossero la molla del progresso materiale e civile. Fu, poi, Hume, nella seconda metà del 700, a trasformare il vizio in virtù sostituendo al termine avarizia quello di interesse personale, un'innocua qualità naturale. Il suo amico filosofo scozzese Adam Smith, nella Ricchezza delle nazioni del 1776, presenta gli esseri umani come guidati da un naturale desiderio di migliorarsi che, in condizioni di libera concorrenza, li porta anche, tramite come "una mano invisibile" a fare l'interesse pubblico. La scienza meccanica della natura di Newton veniva, così, estesa ai rappofrti economici con l'interesse personale che assumeva il ruolo della gravità. Così, lo studio dell'uomo per come è realmente, non per come dovrebbe essere, permise di costruire una fortezza scientifica consolidata dalla matematica che sembra indistruttibile. In questo modo veniva sacrificata l'idea del bene sociale come conquista collettiva. Lo costruivano individui che perseguivano il loro interesse egoistico nei vari mercati. La logica del contratto offuscava quella della reciprocità e del dono.
Gli economisti classici, da Malthus a Ricardo e J.Stuart Mill avevano però in mente uno "stato stazionario" che associavano a vari livelli di raggiungimento della ricchezza. Dopo Mill questa idea venne ripresa da Keines. Ma, nel frattempo, la tecnologia aveva cominciato a prospettare la possibilità di un'accumulazione di ricchezza senza fine. Il profeta era stato Bacone, contemporaneo di Galileo. Per lui l'uomo doveva dominare la natura. Il mito di Faust incarna il pensiero, estraneo alla cultura classica e cristiana, che il male non è solo una forza negativa, ma imprime anche una spinta positiva e generatrice nelle vicende umane. L'eredità più importante, in termini filosofici, del Faust di Goethe è la dialettica: l'dea che il progresso dipenda da un continuo capovolgimento della moralità tradizionale. Marx riteneva, però, che i costi del capitalismo non venivano volontariamente subiti dagli individui in vista di vantaggi presenti e futuri, ma erano imposti dal potere della classe capitalista. Per liberarsi da questo potere opprimente bisognava ricorrere alla violenza. Marx fu il primo economista ad attribuire il giusto peso morale alla capacità distruttiva del capitalismo (sfruttamento e alienazione). Scrivendo 70 anni dopo l'inizio della rivoluzione industriale era meglio in grado di capirne gli impatti. Nel 1956 Galbraith sosteneva che i cittadini degli Stati occidentali erano ormai così ricchi che era ora di ridurre la crescita e di rivolgere l'attenzione alla vita buona.
Marcuse, dopo la rivoluzione studentesca, scriveva che il consumismo, la pubblicità, la cultura di massa e l'ideologia avevano integrato gli individui nell'ordine capitalistico e avevano precluso ogni possibilità di "filosofia critica". L'edonismo degli anni 60 aveva condotto, in modo naturale, al consumismo degli anni 80. La classe lavoratrice è ormai diventata un puntello dell'ordine costituito. Sotto Tatcher e Reagan il capitalismo recuperò gran parte del suo spregiudicato spirito piratesco. Lasciato a se stesso il capitalismo non ha nessuna tendenza spontanea a evolvere verso qualcosa di più nobile. Ci ha reso inconsapevoli di avere, almeno collettivamente, quanto basta.
3 A cosa serve la ricchezza?
Per Aristotele l'economia era l'arte dell'amministrazione familiare. Anche l'amministrazione familiare doveva contribuire al raggiungimento del "telos" dell'uomo, ossia la sua realizzazione che si compie nella vita buona.
La vita buona è tale quando i desideri vengono indirizzati verso qualcosa che è veramente desiderabile. L'educazione morale è, quindi, educazione dei sentimenti.
NDR vedi definizione di intelligenza di Gadamer
Aristotele limitava, come tutti i filosofi della Grecia antica, i bisogni alle necessità. Le tradizioni indiane dei Dharma Sutra, dei cinesi (confuciani nel lavoro e taoisti nel riposo) e degli europei, portavano a considerare un'aberrazione l'amore per il denaro in se stesso. Oggi il concetto di vita buona si è eclissato nel dibattito pubblico del mondo occidentale. Hanno contribuito a questo risultato 2 movimenti di pensiero: la teoria liberale moderna da un lato (per cui esula dal discorso pubblico la definizione di vita buona; lo Stato deve solo creare le condizioni affinché ognuno possa realizzare la propria concezione di vita buona) e la teoria economica neo-classica. Si veda per la prima J. Rawls in "Una teoria della giustizia" 1971. Fino agli anni 60 il liberalismo era soprattutto una dottrina di tolleranza, non di neutralità. Per la teoria economica neoclassica oggi va riconosciuto come il linguaggio economico sia diventato l'unico passibile di ascolto nelle sedi del potere. Il nostro obbiettivo prioritario non è più la vita buona, ma la vita stessa, agiata, tranquilla, prolungata. Dobbiamo recuperare gli insegnamenti antichi e le nostre intuizioni profonde per ricostruirci un'immagine presentabile di vita buona.
4 Il miraggio della felicità
La crescita economica non aumenta la nostra felicità, ma solo l'invidia, l'avidità e l'ambizione. Al di sopra di un certo livello il reddito assoluto e la felicità non sono collegati.
Ma cosa è la felicità? Non va riferita a uno stato d'animo transitorio, ma a una condizione dell'esistenza frutto di saggezza e virtù. E' un modo di stare al mondo. Ha a che fare con la capacità di cadere rialzarsi, conciliare fallimenti e successi, gioia e dolori, piaceri e sofferenze, vincite e perdite, vittorie e sconfitte
Certo la felicità non può essere equiparata all'utilità come fanno certi utilitaristi: un indicatore parziale di soddisfazione relativo al raggiungimento di un determinato risultato. Col rischio che i nostri desideri da esaudire crescano più velocemente di quelli che riusciamo a soddisfare. Come mai il reddito assoluto, almeno superata una certa soglia, è irrilevante per la felicità? (La soglia si situa verso i 15.000 euro/anno dato che le carenze nell'alimentazione, negli alloggi e nell'igiene hanno un effetto depressivo). La spiegazione viene dal potere dell'adattamento (ndr il consumo è come una droga che induce dipendenza e tolleranza).
Come possiamo, allora, aumentare i nostri livelli di felicità? Vedi l'educazione ai sentimenti che coincide con l'educazione morale. Prima di tutto dobbiamo superare il problema della irrazionalità individuale per cui le persone sopravvalutano la felicità che ricaveranno a lungo termine dai beni di consumo (è giusto tassare quelli di lusso) e sottovalutano le soddisfazioni date dal tempo libero, istruzione, amicizia e altri beni immateriali.
Il secondo problema è dato da un'irrazionalità collettiva in quanto tutti desideriamo primeggiare, ma ciò non è ovviamente possibile. Ndr si tratta di un gioco a somma zero. Dovremmo, invece, preferire altre partite, quelle in cui tutti i giocatori possano vincere insieme.
Per la misurazione della felicità esistono diverse difficoltà. Se si ricorre ai questionari, molti non ammettono di essere tristi perché vedono la felicità come un segno di successo e sono riluttanti ad ammettere un loro fallimento. I sentimenti positivi sono di vario tipo, la felicità è solo uno di questi.
All'interno della stessa felicità esistono distinzioni di qualità non riducibili a differenze di grado. Ci sono, ad esempio, differenze tra piacere, felicità, gioia. Il piacere ha spesso un'ubicazione, è localizzabile nel corpo. La felicità è una prospettiva sulla realtà. Ha a che fare con beni umani di fondamentale importanza: l'amore, la nascita di un figlio, il compimento di un'impresa importante.. La gioia è più sfuggente della felicità.
Comunque, passare dall'obbiettivo del perseguimento della crescita a quello della massimizzazione della felicità significa soltanto sostituire un'idolatria con l'altra. Godere delle cose buone della vita (salute, rispetto, amicizia, tempo libero..) significa avere ragione di essere felici. Essere felici in mancanza di queste cose buone significa ingannarsi. Allora, forse, più che la felicità, un'astrazione dai contorni molto vaghi, ciò che deve interessarci di più è la vita buona.
5 Limiti alla crescita: naturali o morali?
I limiti alla crescita non sono "naturali". Non sono la risposta ovvia, razionale alle conseguenze dell'aumento della temperatura terrestre, della deforestazione, dell'esaurimento delle risorse o dell'accumulo di rifiuti. Le energie rinnovabili e i progressi scientifici e tecnologici potrebbero, infatti, consentirci di dilazionare sempre di più il tempo delle decisioni che tendiamo a considerare difficili, quelle che impongono di frenare o arrestare la crescita.
I limiti alla crescita sono di natura morale. A causa di questi limiti dobbiamo decidere ora. Alla base non deve esserci la paura di catastrofi ed estinzioni. Alla base deve stare la prospettiva di una vita meno affannata, più felice e più desiderabile: un'esistenza qualitativamente più elevata.
Questa disputa non può essere risolta schierandosi semplicemente a favore di visioni del mondo alternative: una caratterizzata da un ottimismo prometeico, e l'altra dal rispetto e l'amore per la natura. Va, invece, affrontata interrogando la propria coscienza. Allo stato attuale delle conoscenze non possiamo spacciare per necessità pratica una doverosa scelta morale. Né possiamo valutare il benessere delle future generazioni alla stessa stregua delle generazioni esistenti in carne ed ossa senza per questo aderire all'après moi le déluge di Luigi XV.
La rivoluzione scientifica del XVII secolo di cui fu profeta Bacone si proponeva di stabilire il dominio dell'uomo sulla natura. La natura era semplicemente una risorsa da sfruttare a proprio piacimento. L'opposizione a questo attreggiamento diffuso restò confinata entro un gruppo minoritario di artisti e intellettuali almeno fino agli anni 60 del 900. Emerse allora l'importanza dell'ecologia, una nuova scienza che si interessava dell'esistenza delle creature viventi nelloro habitat naturale, delle loro interazioni e dell'interdipendenza. Queste nuove teorie appassionarono un vasto numero di adepti che si distinsero i 2 branche, quella degli ecologisti superficiali e degli ecologisti profondi. I primi, pur amando la natura, la considerano uno strumento da asservire agli scopi umani.I secondi, invece, valutano la natura come scopo in sé, preziosa indipendentemente dalle utilità che ci offre. Questo è condivisibile. Ci sono, infatti, delle cose il cui valore non proviene dall'uso o dallo scambio che se ne può fare, ma dalla loro stessa esistenza. Il Partenone, ad esempio, vale indipendentemente dal fatto che lo possa o meno visitare nel corso della mia vita una o più volte. Così il valore della natura è intrinseco, non strumentale.Tuttavia questo valore non è indipendente dal punto di vista umano per la semplice ragione che l'essere umano è il solo animale in grado di valutare. In questo senso il valore della natura è sia intrinseco che antropocentrico. Dipende da un'autentica interpretazione della vita buona che include l'armonia con la natura. L'ambientalismo della vita buona implica, ad esempio, la tutela dell'agricoltura, vincoli alla costruzione dei supermercati, sostegno alla produzione di alimenti artigianali. Per questo tipo di ambientalismo la riduzione della crescita non è un obbiettivo, ma un eventuale effetto collaterale determinato da provvedimenti desiderabili. Qualcosa che non deriva da rivendicazioni scientifiche incerte, ma dall'ideale di una vita buona in armonia con la natura.
NDR vivere in armonia con la natura significa, prima di tutto, conoscerla. Poi, non imbrattarla, non inquinarla, rispettarla, avere cura del paesaggio, tendere al vegetarianesimo..
6 Elementi della vita buona
Il nostro interesse spasmodico per il consumo e il lavoro è dovuto anche all'assenza, nel dibattito pubblico, del problema della qualità della vita e dell'idea di vita buona che è ad essa associata.
In una società muticulturale, caratterizzata da diverse fedi e pratiche morali, diventa difficile definire la vita buona. Per non correre il rischio di essere paternalisti, la tentazione, perciò, è di limitarci a costruire un complesso di regole neutrali che consentano a persone diverse di vivere insieme in armonia. Pur consapevoli delle preoccupazioni e delle difficoltà, pare possibile acconsentire all'esistenza di un certo numero di beni fondamentali che sono universalmente riconosciuti come parte integrante di una vita buona: salute, sicurezza, amicizia, amore, rapporti di fiducia, rispetto reciproco. ndr Questi elementi hanno a che fare con i bisogni da soddisfare della piramide di Maslow.
Di beni fondamentali si è occupato anche J. Rawls ne "La teoria della giustizia" (1971). Egli include nel novero dei beni sociali primari il più ampio accesso alle libertà civili e politiche, l'equo accesso ai diversi incarichi e ai loro relativi redditi. Questi sono i mezzi che permettono a ciascuno di concepire la propria idea di vita buona e di realizzarla. Non sono gli elementi della vita buona, ma gli strumenti che ne consentono il perseguimento nelle sue diverse e singolari versioni. Sono anche le basi sociali del riconoscimento e dell'autostima. A. Sen, studioso dell'economia dello sviluppo e Martha Nussbaum hanno criticato l'impostazione di JR perché non tiene conto del diverso tasso di conversione del reddito in funzionamenti. Non è automatico che un buon reddito dia luogo a una vita familiare e affettiva appagane o a una buona nutrizione ecc.. Bisogna, perciò, concentrarsi sulle capacità. Non sulla quantità di reddito e ricchezza di una persona, ma sulle sue capacità, ossia sulla sua concreta facoltà di pensare ed agire, su cosa è in grado di fare e di essere. Occorre, quindi, tener conto di aspetti più qualitativi. Ma anche l'impostazione di A. Sen può essere criticata. Perché fermarsi alle capacità, ad esempio, di salute o di nutrizione o di istruzione quando ciò che conta è essere effettivamente sani, istruiti, ben nutriti? La ragione di questa scelta sta nel rispetto dell'autonomia individuale. Ma l'autonomia individuale è di fatto condizionata dalle pressioni dei gruppi di potere più forti. La ricerca del bene, perciò, non deve restare estranea al dibattito pubblico. Si tratta di una ricerca in continuo affinamento dove nulla viene assodato una volta per tutte (vedi anche Paul Valadier ) Il punto di vista di A. Sen può essere meglio compreso se si tiene conto della prospettiva delle economie in via di sviluppo, di cui egli è studioso, dove una meta significativa è rappresentata proprio dalla diffusione delle capacità. Nel mondo industrializzati, però, le capacità possono considerarsi già abbastanza diffuse. Ciò che conta, allora, sono gli effettivi funzionamenti: dobbiamo fare buon uso di risorse che già esistono (ndr inclusi i saperi), delle capacità, appunto, non accontentarci delle loro potenzialità. Dobbiamo spingerci oltre, traducendo le capacità in funzionamenti. Lo Stato, ad esempio, può introdurre incentivi economici e cercare le condizioni per rendere più agevole, per le persone, vivere bene piuttosto che male, impiegare bene la spesa pubblica, definire un welfare appropriato (ad esempio, contrastare epidemie di obesità, diabete, disturbi mentali; epidemie di precarità, diffidenza. risentimento, divorzi...). Si possono mettere a punto, prima di tutto, i criteri di inclusione dei beni fondamentali costitutivi della vita buona.
1) I beni fondamentali devono essere universali, ossia devono essere considerati tali in tutte le culture
2) devono costituire un valore finale, ossia devono essere buoni in sé, non solo mezzi per ottenere altri beni
3) devono rappresentare una categoria a sé, non far parte di qualche altro bene
4) devono essere indispensabili, una necessità, una condizione sine qua non di una vita decorosa
NDR Pe me i beni fondamentali hanno una stretta relazione con i bisogni fondamentali della piramide di Maslow: sopravvivenza (salute), sicurezza, appartenenza (amicizia, relazioni..) stima, rispetto, autostima..
La piramide fa pensare, a proposito dei beni fondamentali, che c'è una sequenza naturale nella loro soddisfazione. Nello stesso tempo, però, tutti sono necessari per configurare una vita buona nella sua pienezza. La mancanza di uno non può essere compensata dall'abbondanza di un altro.
NB attenzione a un'eccessiva specializzazione!
Affinché nei paesi industrializzati lo Stato crei le condizioni per una vita buona per tutti non deve tanto occuparsi della crescita, perlomeno nel lungo periodo (ndr nel breve termine, dati il debito pubblico e la disoccupazione, è giusto porsi questo obbiettivo) ma della distribuzione, della redistribuzione dei redditi e delle ricchezze e della definizione del welfare per attenuare le disuguaglianze eccessive e dell'impiego adeguato della spesa pubblica.
7 Vie d'uscita dalla competizione sfrenata
Ci sono 2 tipi di ostacoli alla realizzazione della profezia keinesina secondo cui le persone avrebbero lavorato di meno e tratto più soddisfazione dalla vita. Il primo è rappresentato dagli interessi dei gruppi di potere, il secondo dall'insaziabilità dei bisogni umani. Anche i partiti di sinistra abbracciarono l'idea della crescita economica per favorire i lavoratori e mitigare il latente conflitto di classe sulla redistribuzione della produzione. M. Tatcher e R. Reagan aggiunsero alla filosofia della crescita una fede ideologica nel libero mercato, affrancato da regole e burocrazia. La dottrina sociale della Chiesa, a partire dall'enciclica Rerum Novarum (1891) fino alla Caritas in veritate (2009) è contraria in egual misura al socialismo di Stato e al capitalismo senza regole. E' invece favorevole a un'ampia distribuzione della proprietà, a prezzi e salari equi. Condanna l'avarizia e l'usura. Esige un'attenzione privilegiata per i poveri. Sul fronte laico il corrispettivo fu l'economia sociale di mercato, appoggiata dalla socialdemocrazia, che prevedeva un'elevata imposta di successione. Sul fronte protestante il nuovo liberalismo proponeva le stesse idee. Lo Stato veniva innalzato a incarnazione del bene comune, diveniva un "enabling State", uno Stato che sostiene e facilita per aiutare a realizzare le capacità individuali e gli effettivi funzionamenti. Era dovere dello Stato mantenere una domanda sufficiente a garantire la piena occupazione al fine di consentire a tutti sicurezza e vita buona.
(NDR Le politiche di sicurezza sociale note col nome di New Deal, promosse dal presidente democratico Roosvelt tra il 1933 e il 34 (cure sanitarie, istruzione, occupazione, diritto al reddito) avevano lo scopo di tutelare il diritto individuale alla libertà poiché gli uomini in stato di necessità non sono autenticamente liberi. Non erano, quindi, motivate dal dovere di solidarietà, ma dalla volontà di rispettare la libertà individuale)
Nel 1942 Lord Beveridge fu il fondatore dello Stato sociale britannico. Voleva affrancare i cittadini dai rischi connessi con la vecchiaia, la disoccupazione, gli infortuni (ndr nel 48 fu istituito il NHS). La socialdemocrazia era esordita in Europa verso la fine dell'800 come risultato della scissione dall'ala rivoluzionaria. Il capitalismo poteva essere riformato democraticamente per migliorare la condizione dei poveri. Anche la scienza economica più antica di A. Smith imponeva dei limiti alla egemonia del mercato. Prima di tutto, occorreva garantire la concorrenza. Inoltre, andavano riservati allo Stato 3 doveri: 1) quello della difesa 2) dell'amministrazione della giustizia 3) le istituzioni e le opere pubbliche vantaggiose per l'intera collettività che non avrebbero ripagato i singoli imprenditori privati che le fornivano, come ad esempio, l'istruzione. Questi accenni a beni non di mercato furono sviluppati nella teoria dei beni pubblici e dei beni di merito (beni ritenuti buoni per la società indipendentemente dalla volontà delle persone di acquistarli. I beni di demerito, come alcol e fumo, sono quelli di cui si vuole scoraggiare il consumo.) che le società dovrebbero avere e che il mercato, per varie ragioni, non produce.
Fino agli anni 70 del 900 si raggiunsero notevoli miglioramenti per le classi più disagiate, assicurati dalla solidità del welfare, da una condizione vicina alla piena occupazione, dalla progressività della tassazione dei redditi, migliori salari e meno lavoro grazie ad aumenti di produttività. La politica economica si spese per realizzare i beni fondamentali della vita buona, ma non fu in grado di far apprezzare il valore morale di questi risultati. Furono, invece, messi in evidenza le inefficienze, gli sprechi che pure esistevano. La progressività della tassazione venne allentata, il welfare indebolito, l'industria statale privatizzata, la finanza deregolamentata. Oggi si è materializzato il rischio di avere servizi di qualità scadente finanziati dalla collettività e servizi migliori per chi li può pagare. Si dovrebbe legiferare a favore di una progressiva riduzione dell'orario di lavoro. Negli anni 80 la Wolkswagen ridusse l'orario settimanale da 36 ore a 28,8 per evitare di licenziare 30.000 operai. La sua riorganizzazione degli impianti ha in realtà aumentato la produttività.
Un'altra proposta interessante è il reddito minimo garantito per chi resta senza lavoro e si rende attivamente disponibile per trovarsene un altro.
Ridurre la spinta a consumare è un mezzo per ridurre la spinta a lavorare. C'è una sovraproduzione di lavoro e una sottoproduzione di tempo libero. C'è chi è costretto a lavorare più di quanto vorrebbe e chi non riesce ad avere abbastanza lavoro. La pubblicità dovrebbe essere tassata di più e non trovare spazio sui canali della TV pubblica. La nostra società promuove consumi esagerati anche per coloro che non possono permetterselo. Un'ulteriore proposta potrebbe essere un'imposta progressiva sui consumi (reddito - (risparmi+ investimenti)). La spinta al consumo viene innescata dalla pubblicità. I suoi fautori sostengono che la pubblicità informi e aiuti la gente a scegliere ciò che vuole. Oggi, invece, gran parte della pubblicità non contiene informazioni, ma mira a esaltare il fascino e l'attrattiva di un prodotto, inserendolo in un'atmosfera fantastica. Bisogna impedire alle aziende di stornare la pubblicità come spesa aziendale.
Potremmo aiutare i Paesi più poveri a raggiungere il livello di sufficienza da noi già conseguito.
In sintesi, a fronte dell'aumento di produttività che abbiamo raggiunto o possiamo ridurre l'orario di lavoro, espandere il campo del lavoro condiviso e del tempo libero oppure possiamo indurre bisogni artificiali e soggiacere a una crescente precarietà del lavoro e disuguaglianza del reddito. Lo Stato deve rendere esplicite le proprie scelte etiche così che possa nascere un dibattito sul loro valore. Un simile orientamento della politica richiede l'autorità e l'ispirazione che solo la religione può offrire. Lo spreco maggiore che dobbiamo affrontare non è di denaro, ma di potenzialità umane (vedi Romagnoli e dentifricio universale).