Introduzione
L’imprevedibilità è entrata prepotentemente nelle nostre vite. Lo testimoniano eventi del passato che non erano stati previsti, come la prima guerra mondiale, l’ascesa al potere di Hitler, la crisi finanziaria del 2008 e il crollo del muro di Berlino. Da ultimo ci ha sorpreso l’avvento della pandemia. Eventi di questo tipo, più o meno tragici, saranno sempre più frequenti a causa della globalizzazione e della crescente complessità dei problemi. Studiare la pandemia in conformità con gli approcci della complessità ci induce a inserirla nel contesto della crisi eco-sistemica in corso. E a ricorrere all’aiuto della filosofia, dell’etica e della politica per definire gli interventi più efficaci. Da un punto di vista filosofico, per esempio, occorre accantonare le contrapposizioni dicotomiche tra natura e cultura. Il covid-19 è un fenomeno a un tempo naturale e sociale. Si deve, ormai, ragionare in termini di reti causali. Da un punto di vista etico non basta più il principio dell’autodeterminazione individuale su cui si è basata l’etica liberale in questi ultimi decenni di progressiva secolarizzazione. Assume una maggiore centralità il principio di giustizia, intesa come equità nella distribuzione delle risorse. La responsabilità si è ampliata in senso globale e intergenerazionale. Da un punto di vista politico bisogna rinunciare a ridurre la politica a tecnica, come se i dati di fatto potessero sostituire i giudizi di valore. La pandemia ci offre l’occasione per ripensare alle nostre relazioni sociali, alle disuguaglianze, ai nostri valori, ai sistemi di produzione, ai modelli di sviluppo… E’ tempo di avvalerci sia dei saperi scientifici che di quelli umanistici se vogliamo comprendere i problemi e conferire un senso più profondo alle nostre azioni.
1 La pandemia e la crisi ambientale tra natura e cultura
A metà del 700 ci fu un violento terremoto a Lisbona che provocò circa 30.000 morti. Fu l’occasione di un’accesa polemica tra Voltaire e Rousseau. Il primo imputava alla natura la colpa di quel disastro. Rousseau incolpava, invece, la società per via dell’urbanizzazione, dei modi di costruire le abitazioni... Era l’inizio di un percorso di “tribunalizzazione” della storia, che consisteva nell’inscenare continui processi contro la società umana. Se l’origine del male viene dalla società, è la società che deve rimediare. Ma tra l’attribuire le colpe alla natura o interamente alla società esistono posizioni intermedie. Occorre stabilire in che parte c’entri la natura e in che parte la società. E’ un po’ la stessa cosa per il covid-19. E’ un fenomeno reticolare in cui entrano foreste, pipistrelli, pangolini, ma anche mercati di animali vivi, aerei, agenti inquinanti…Dove un tempo si tendeva a vedere elementi distinti, oggi si scorgono nodi e relazioni, in una trama reticolare di interazioni tra esseri umani, non umani e oggetti materiali. La complessità e la contingenza entrano prepotentemente nelle vicende umane. Per evitare che si ripetano tragedie analoghe alla pandemia da covid-19 bisogna fare attenzione alla deforestazione e agli allevamenti intensivi di suini (serbatoi del virus H1N1), di polli e di bovini. Inoltre, l’uso massivo di antibiotici negli allevamenti, anche con lo scopo di stimolare la crescita degli animali, pone con forza il problema della antibiotico-resistenza. L’approccio relativo ai problemi di salute che viene definito “one health” invita a considerare la salute umana strettamente legata con quella degli animali e degli altri esseri viventi per ridurre le zoonosi, la resistenza agli antibiotici e promuovere la sicurezza alimentare. Questo approccio si accompagna a un altro definito “one ethics” che tiene conto delle pluralità dei valori, della globalità dei problemi e delle loro conseguenze, che travalicano effetti specifici più o meno immediati sull’uomo. Al di là degli approcci, per comprendere i problemi e orientarsi sugli interventi occorre far leva sia sulla cultura umanistica che su quella scientifica. I giudizi di fatto vengono affinati tramite i saperi scientifici che ci illuminano sulla “verità” di ciò che è reale. I giudizi di valore vengono perfezionati tramite la riflessione filosofica ed etica e ci consentono di assegnare un significato a ciò che è reale. Oggi la portata e le conseguenze dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica sono tali da esigere un innalzamento della competenza scientifica dei cittadini. Ad esempio, decidere di vaccinarsi o meno implica la comprensione del rapporto probabilistico tra benefici e rischi. Una comprensione tutt’altro che scontata, anche a causa di una relazione non facile tra le 2 culture. La storia dei rapporti tra cultura scientifica e umanistica è passata attraverso varie fasi. Nel secolo dei lumi ci fu un’alleanza testimoniata, ad esempio, dalla direzione congiunta dell’Enciclopedie da parte di un filosofo (Diderot) e di un fisico-matematico (D’Alambert). Nel 19’ secolo avvenne una scissione tra le 2 culture a causa dell’opposizione romantica all’ideologia del progresso. Oggi, anche a causa di un linguaggio esoterico, che rende sempre più difficile la comprensione, e di progressive specializzazioni nei saperi, si può parlare di una sorta di alienazione per cui letterati, artisti e filosofi dimostrano un sostanziale disinteresse nei confronti della scienza. La scienza si caratterizza per il suo metodo: un metodo capace di risolvere le controversie, che non può, però, essere applicato a qualsiasi ambito di studio. Non si può ricorrere strumentalmente alla scienza per ridurre i conflitti nella sfera pubblica, dove si deve ragionare anche in termini di priorità, di principi costituzionali, di valori finali. Ci troviamo, comunque, di fronte a dibattiti difficili anche perché è cresciuta la diffidenza. Non ci fidiamo l’uno dell’altro. A causa delle crescenti disuguaglianze, del blocco dell’ascensore sociale e della diffusione di una cultura meritocratica, i premi sono diventati esorbitanti per i vincenti, e le perdite appaiono sempre più intollerabili per chi è rimasto indietro. Per di più, sono venute meno le grandi “metafore influenti” che hanno contribuito alla coesione della società. Si è infranto il mito del potere auto-regolatorio del mercato, non si crede più nel ruolo redistributivo dello Stato che viene percepito come inefficiente e corrotto, per via della classe politica al potere e della burocrazia statale. Per misurare l’impatto di una malattia infettiva bisogna conoscere sia l’indice di riproduzione (R0), che ci parla della sua trasmissibilità, sia la gravità, indicata anche dalla letalità (vedi tabella pag.47). La trasmissione è più alta, ad esempio, se il periodo di massima contagiosità si verifica prima dell’insorgenza dei sintomi. Ndr per il covid-19 il periodo medio di contagiosità si situa 2 giorni prima e 3 giorni dopo i sintomi. Per l’ebola, invece, si verifica nella seconda settimana dopo l’insorgenza dei sintomi. E’ più facile, così, interrompere la catena di trasmissione. Le azioni politiche essenziali che bisognerebbe adottare contro il covid-19 sono la chiusura dei mercati di animali vivi, la riduzione progressiva degli allevamenti intensivi insieme con la limitazione del consumo di carne, il blocco della deforestazione e un sistema di stretta vigilanza delle zoonosi. Già questo insieme di interventi, seppure ridotto all’essenziale, fa capire come abbiamo esteso le nostre prospettive rispetto al passato. Non si ragiona più solo sulla base di ciò che riguarda la coppia micro-organismo patogeno e ospite. Il contemporaneo aumento della conoscenza scientifica e delle potenzialità tecnologiche, la scoperta di lunghe catene causali di carattere distale hanno comportato un ampliamento delle responsabilità morali e politiche. Le difficoltà crescono anche perché le soluzioni a problemi di lungo periodo risultano spesso impopolari in quanto sono in contrasto con gli interessi immediati di gruppi più o meno vasti. Per di più, l’allargamento della sfera di responsabilità morale apre lo spazio a una desolante imputabilità illimitata per ciascuno di noi. Ma quando si è portati a diventare responsabili di tutto si corre il rischio di non sentirsi responsabili di nulla. Una morale troppo esigente finisce per essere d’ostacolo a comportamenti eticamente fondati. Diventa necessaria una consapevolezza intellettuale ed emotiva anche per evitare la cosiddetta tragedia dei beni comuni. Si tratta della situazione per cui un singolo comportamento, vantaggioso per chi lo attua, ha un impatto minimamente negativo per la società. Sommandosi, però, ai comportamenti di moltitudini di individui, quel singolo comportamento provoca complessivamente delle vere tragedie. Si può fare l’esempio del consumo di carne, dell’uso smodato dell’automobile o dell’aereo, che contribuiscono alla crisi climatica. Oggi conosciamo la gravità del loro impatto. Un altro ambito in cui la conoscenza è molto progredita è quello dell’immunità. La teoria dell’immunologia moderna si basava sui concetti di self e non self. Ma si è visto che molecole estranee, come quelle del microbioma, non suscitavano reazioni immunitarie e che molecole self, come accade nelle malattie auto-immuni, danno luogo a reazioni immunitarie. Anche da un punto di vista politico è cambiato il nostro modi di ragionare. Un progetto comune associava un tempo liberali e marxisti: quello di una crescita illimitata e di una redistribuzione, accentrata o meno, delle risorse disponibili, una volta sconfitta la scarsità naturale. Oggi, invece, conosciamo la possibilità dell’esaurimento delle risorse naturali e i rischi della forzatura degli equilibri eco-sistemici. Si deve, perciò, incominciare a ragionare in termini universalistici, rinnovando e potenziando le istituzioni politiche sovranazionali. La questione del cambiamento climatico può diventare l’occasione per ridare un senso più alto all’etica e alla politica del futuro. Il principio di autonomia su cui si è fondata la bioetica potrebbe essere superato, nella scala gerarchica, dal principio di giustizia sociale.
2 Etica, ambiente e pandemia.
Non è più possibile separare il problema della salute umana da quelli della salute del pianeta. Contenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi rispetto al livello raggiunto in epoca pre-industriale, costituisce un obbiettivo irrinunciabile. Lo si può raggiungere attraverso strategie prevalentemente tecnologiche (energie rinnovabili, economia circolare..) o anche attraverso una strategia mista che include provvedimenti urbanistici, modifiche nell’alimentazione, nell’agricoltura, nella deforestazione, nei trasporti, nei servizi sanitari. Esiste uno strumento, il “global calculator”, che misura l’efficacia, i costi, le ricadute sociali di una ventina di diverse strategie. Per quanto riguarda le questioni etiche, il triage nelle terapie intensive rappresenta un esempio ricco di spunti di riflessione. Il triage è un meccanismo di selezione dei pazienti per determinare chi deve essere curato prima e chi dopo o, nel corso di eventi catastrofici, che debba essere curato e chi no. Il 6 marzo 2020, nella primissima fase della pandemia, la SIAARTI ha pubblicato un documento in cui si sosteneva che per l’accesso alla terapia intensiva non bastavano i criteri di appropriatezza clinica e proporzionalità delle cure, ma occorrevano criteri condivisi di giustizia distributiva e equa allocazione di risorse sanitarie limitate. Un primo criterio è garantire i trattamenti ai malati che hanno maggiore probabilità di giovarsene. Un altro criterio ha a che fare con la speranza di vita. Tra 2 malati che abbiano la stessa probabilità di guarigione si sceglie quello che ha una speranza di vita più lunga, in quanto ciascuna persona dovrebbe avere la possibilità di percorrere i vari stadi dell’esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia. Esistono, invece, delle perplessità riguardo al criterio dell’aspettativa di vita in buona salute perché la valutazione della qualità della vita spetta solo a chi la conduce. Il caso del triage fa emergere l’insufficienza del principio di autodeterminazione cui la bioetica tende a fare riferimento, anche perché diventa sempre più evidente la nostra comune inter-dipendenza. Esistono delle questioni di sicurezza e di giustizia che meglio ci guidano in decisioni così delicate. Non ci sono, poi, soltanto scelte tragiche di primo grado (chi curare tra 2 pazienti),ma anche scelte tragiche di secondo grado, come quella di decidere quanto personale o quanti letti devono essere dedicati a una terapia intensiva, quanto investire nella prevenzione o nella diagnosi e cura delle malattie. Caso vaccini. Esempio di rapporto probabilistico tra benefici e rischi: in una popolazione di 100.000 abitanti a basso rischio di infettarsi tra 60 e 69 anni si prevengono 14 ricoveri in terapia intensiva e si provocano 0,8 trombosi venose specifiche (col vaccino Astrazeneca). A pagina 85 vengono confrontati i rischi di morire in seguito a vaccinazione con altri rischi di morte. Si devono vaccinare, prima di tutto, gli ultra-ottantenni, tra cui la letalità è superiore al 20%. Per il personale sanitario l’obbligatorietà della vaccinazione è dovuta al principio deontologico “primum non nocere”. Si può nuocere non solo se si trasmette l’infezione (ndr sembra in forse la minore contagiosità dei vaccinati), ma anche se si è assenti dal luogo di lavoro per una malattia prevenibile. Il green pass sembra aver cambiato significato: da incentivo alla vaccinazione, è diventato una sorta di obbligo indiretto alla vaccinazione. A questo punto sarebbe meglio istituire in modio esplicito l’obbligo vaccinale per alcune categorie di cittadini. E sarebbe bene migliorare la comunicazione soprattutto mettendo in evidenza non solo i vantaggi personali della vaccinazione, ma i fini etici e politici che si vogliono perseguire in nome del valore della vita e della solidarietà. Occorre che dispositivi di carattere bio-politico delicati vengano introdotti per legge e rispondano a requisiti di proporzionalità, efficacia e limitazione temporale. Per quanto riguarda i sistemi tecnologici di tracciamento digitale, il problema non è tanto quello della privacy che viene costantemente violata in molti altri modi. Il problema riguarda il modello di società del controllo che questi sistemi potrebbero prefigurare. Basti pensare a un sistema di “reputazione digitale” fatto di crediti e debiti che limita l’accesso ai servizi pubblici da parte di chi ha un credito insufficiente. Ndr Ma si può condannare una strategia in nome di una sua possibile deriva? Non si impedisce, così, di graduare i nostri interventi e superare gli estremismi delle dicotomie? Esistono diversi esempi di successo della cooperazione internazionale. Basti pensare a quanto si è fatto per l’assottigliamento dello strato di ozono, la proliferazione nucleare, il problema della bio-diversità. Si deve fare lo stesso per il Sars cov-2 sapendo che il suo Rna è soggetto a circa 30 mutazioni per ogni ciclo di replicazione. C’è, quindi, il rischio di dover lottare contro nuove varianti per un tempo indefinito a meno di vincere globalmente la battaglia contro di lui e le sue eventuali varianti. Il potere politico non può, comunque, strumentalizzare la scienza per giustificare le sue scelte. Deve dichiarare i fini che le legittimano e i principi e i valori che le ispirano. L’immunità di comunità (1-1/Rt) è un’illusione perché ci sono i super-diffusori (si stima che il 10%-20% contagi il 90%-80% dei casi secondari) e perché le popolazioni sono aperte. Si potrebbero ipotizzare alcuni diversi scenari valoriali che sottendono politiche alternative: uno di tipo kantiano, deontologico, in cui non si deve perdere nemmeno una vita umana; uno utilitaristico che mira al maggior beneficio e al minor danno per il maggior numero di persone; un altro, sempre utilitaristico, che pesa maggiormente la vita di alcuni gruppi, ad esempio di giovani. Le decisioni dovrebbero poter essere definite giuste, anziché necessarie. L’approccio deontologico kantiano non considera le conseguenze, ma i principi universali che devono guidare le scelte, tra cui il principio di considerare ciascun essere umano come fine e mai come mezzo. Secondo gli utilitaristi questo ideale è troppo elevato e impraticabile. Secondo l’etica aristotelica una società giusta è quella che premia le virtù e castiga i vizi. Ndr Ma chi definisce gli uni e gli altri? Per Aristotele bisogna incaricare delle decisioni politiche le persone più meritevoli e educare i cittadini a provare piacere per le cose nobili e dispiacere per ciò che è vile. Il principio neo-liberistico dell’auto-regolazione del mercato guidato dalle scelte individuali non è sostenibile per i problemi odierni. La bio-etica deve riconsiderare il problema della salute individuale e pubblica alla luce, anche, dell’esistenza di lunghe catene causali distali (non solo prossimali) e deve riflettere sul rapporto tra essere umano, società e tecnica. Questa si è sviluppata a partire dagli anni 60 del secolo scorso negli Usa. Si è affermata in un’epoca caratterizzata dall’accelerazione dei progressi tecnologici, dalla diffusione di un ethos liberale che puntava sull’autonomia individuale e il potere auto-regolatorio del mercato. Cambiava, in quegli anni, anche il rapporto medico-paziente che non era più paternalistico. C’era un doveroso coinvolgimento del paziente nelle decisioni del medico, certificato nel consenso informato. Si doveva anche affrontare il problema di una pluralità di valori talvolta discordanti, in una società frammentata e secolarizzata. Era, perciò, necessario esprimersi in termini discorsivi razionali, coerenti e universalmente comprensibili che riconoscessero il valore dell’autonomia individuale accanto a quello della beneficienza, della non maleficienza e della giustizia. Questi valori dovevano, poi, essere specificati e bilanciati nelle situazioni concrete, tenendo conto dei singoli contesti. La bio-etica deve anche affrontare i problemi connessi con la “tragedia dei beni comuni”, legata alla scelta di individui troppo autonomi. Esiste, infatti, il rischio che il pensiero liberale, nato per difendersi dai soprusi di un’autorità soverchiante finisca per ritorcersi contro il bene comune e la stessa sopravvivenza della specie umana. C’è bisogno di studio e di sincretismo etico per affrontare il problema della crisi ecologica e consentire, nello stesso tempo, lo sviluppo di Paesi a besso reddito ben oltre la soglia della fame e dell’analfabetismo. Occorre anche conciliare la democrazia con la necessità di assumere decisioni politiche forti, se non autoritarie, anche impopolari. Come stabilire le priorità, come conciliare i diritti delle generazioni presenti con quelli delle generazioni future? Bisogna pensare a una bio-etica globale che si interessi del bene degli esseri umani, degli altri animali, delle piante e della materia inanimata: una prospettiva ecologica integrale, analoga a quella espressa nel 2015 dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. La natura, infatti, non può più essere intesa semplicemente nei modi delle scienze naturali, come spazio oggettivabile e quantificabile, indipendentemente dalle sue relazioni e proprietà emergenti. Resta da stabilire se la bio-etica riuscirà a definire un insieme di valori e principi trans-culturali, universalmente validi, senza essere tacciata di etnocentrismo, nel tentativo di esportare i valori occidentali a tutte le popolazioni terrestri. Una soluzione plausibile può essere trovata nelle grandi dichiarazioni di organismi sovra-nazionali come l’Onu o l’Unesco, dove si può costruire un insieme di principi universalmente condivisi che dovrebbero, poi, venire articolati all’interno delle varie specificità culturali. Sarebbe il modo per inaugurare una sorta di metodo deliberativo allargato su scala sovranazionale.
3 Una nuova agenda per l’etica e la politica
Grazie ai progressi scientifici e tecnologici che ampliano continuamente le nostre potenzialità, la politica deve sempre più basarsi su solide fondamenta scientifiche oltre che filosofiche ed etiche. Le rassegne sistematiche della letteratura, ossia sintesi elaborate, secondo criteri predefiniti, di tutte le prove pubblicate, possono essere un valido contributo, se ben utilizzate. Ma occorre una cultura scientifica più profonda. La politica, infatti, non è immune da bias cognitivi, tipo il vizio di conferma, in base al quale si selezionano, più o meno consapevolmente, quelle osservazioni capaci di confermare le convinzioni e i pregiudizi che risiedono nella nostra mente. Non si capirebbe, altrimenti, come l’eugenetica di Galton (cugino di Darwin) e una certa ricerca genetica del 900 abbiano potuto sdoganare il razzismo, legato alla segregazione dei neri negli Usa e agli stermini di massa nei lager nazisti. Né si potrebbe capire come mai alcuni economisti credano ancora nella autoregolazione del mercato e nel fenomeno della tracimazione, per cui, alla crescita della ricchezza, corrisponde una redistribuzione delle risorse dall’alto verso il basso. E neppure si potrebbe comprendere l’enfasi posta sulla privatizzazione della sanità, in quanto garanzia di motore di sviluppo, efficienza e libertà di scelta, svincolata dalle costrizioni di uno Stato paternalista. In realtà la libera scelta deve presupporre una completa consapevolezza, molto difficile da acquisire. E il servizio sanitario, più che un settore importante dell’economia di mercato, va inteso come un elemento essenziale di un sistema di sicurezza sociale per evitare che gli output (le prestazioni erogate) siano completamente slegati dagli outcome (i guadagni di salute) e il profitto si sostituisca allo scopo più autentico, quello della salute. E’ la salute, infatti, il bene comune da preservare attenuando l’esposizione ai fattori di rischio e curando le malattie. Bisogna interrogarsi sui fini delle istituzioni. Per Weber, nell’ambito delle attività economiche, non si può che fare affidamento sulla razionalità strumentale. I fini sono già posti e riguardano il profitto. Occorre solo trovare i mezzi più idonei per procurarlo. Nell’ambito della politica, però, la razionalità diventa sostanziale perché bisogna preoccuparsi di definire prima di tutto i fini, oltre che i mezzi più adatti per perseguirli. Etica e politica vanno, così, a braccetto. A proposito della medicina, ad esempio, che sembra assumere come compito irrinunciabile il salvataggio della vita e il suo prolungamento, bisognerebbe chiedersi, da un punto di vista politico, in quali casi la vita resti degna di essere vissuta per un singolo e specifico malato. Le grandi trasformazioni che abbiamo impresso al nostro pianeta richiedono una trasformazione anche nella politica. Non deve lasciarci indifferenti il fatto che solo 30 colture agricole provvedano a fornire circa il 90% di tutte le calorie consumate dalla popolazione mondiale. Mentre negli anni 60 il consumo pro-capite medio di carne era di 28 grammi oggi è di 100 grammi ed è previsto salire a 115 nel 2050. Ne va della sicurezza alimentare se non affrontiamo il problema con la dovuta serietà. Da un punto di vista politico, un conto è ritenere, sulla scia dell’economia neo-classica e dello stesso marxismo, che l’uomo e la natura sono variabili dipendenti dalla trasformazione economica e tecnologica, un conto diverso, invece, è pensare all’essere umano come fine, del cui bene dobbiamo prenderci cura. A questo aspirano le 17 finalità dello sviluppo sostenibile concordate dall’Onu nel 2015. Di qui la politica dovrebbe partire per declinare e specificare i 17 obbiettivi e i 169 sotto-obbiettivi nelle varie articolazioni continentali, nazionali, regionali e locali. Le varie aziende dovrebbero cooperare. Le varie esternalità negative connesse con la produzione, l’utilizzo e il consumo dovrebbero essere assorbite dalle imprese anziché dallo Stato e dai cittadini. E bisognerebbe anche interrogarsi sulla delocalizzazione della produzione che sposta il problema dell’inquinamento in Paesi a basso reddito. I Paesi importatori godono, così, pienamente del valore d’uso dei prodotti. I Paesi esportatori subiscono, invece, le esternalità negative dell’estrazione e della produzione. E diventano, spesso, anche le discariche dei Paesi ad alto reddito. Oltre che nella politica, grandi trasformazioni sono avvenute pure nell’umanità. Abbiamo patito 3 lacerazioni narcisistiche. La prima con l’eliocentrismo, la seconda col darwinismo, la terza con la psicanalisi freudiana. E siamo diventati consapevoli di essere più complessi di quanto pensavamo. Non siamo solo individui in senso stretto, ma siamo degli “olobionti”, ossia colonie costituite da cellule umane e cellule batteriche del microbioma, che albergano soprattutto nel nostro intestino. Siamo in simbiosi e interagiamo costantemente con migliaia di miliardi di microbi che formano una massa di circa 2 Kg. La nostra alimentazione e il funzionamento del nostro sistema immunitario condizionano maggiormente l’interazione col microbioma. Siamo anche diventati consapevoli di incorporare delle micro e nano plastiche nelle nostre cellule e di subire effetti tossici largamente inesplorati. E siamo anche consapevoli dell’importanza della nostra posizione socio-economica nel determinare le traiettorie esistenziali e di salute che ci riguardano. In sottogruppi svantaggiati della popolazione queste traiettorie esistenziali possono incrociare delle “sindemie”, ossia raggruppamenti particolari di malattie come diabete, obesità e ipertensione che rivelano interazioni tra fattori biologici e sociali e aumentano la suscettibilità nei confronti di altre malattie. Nel caso del covid-19, occuparsi di malattie croniche significa anche contenerne gravità e letalità. Le grandi banche dati oggi esistenti opportunamente interrogate e legate tra loro tramite l’uso di un campo comune, sono strumenti formidabili per la ricerca, valutazione, pianificazione e gestione dei servizi. Oggi possiamo anche avvalerci dei metodi dell’intelligenza artificiale. Tutto ciò che faremo per migliorare deve fare riferimento a 2 concetti importanti. Esiste una sola salute, ed è quella globale di noi esseri umani, di tutti gli altri animali, vegetali e della natura che ci circonda (dell’ecosistema). Ed esiste anche una sola etica (one ethics) se riusciamo a distaccarci dalla cultura intesa in modo fondamentalistico e eccessivamente identitario. Abbiamo bisogno anche di un sincretismo etico tra utilitarismo, kantismo e la teoria aristotelica della virtù. Dovremo esercitarci in processi di democrazia deliberativa, assegnando valore, soprattutto, al processo di formazione delle decisioni, piuttosto che a cercare compromessi tra decisioni che si sono preventivamente formate in individui che elaborano autonomamente le loro opinioni. Ciò che conferisce legittimità alla decisione è il percorso attraverso il quale si è formata la volontà di ciascuno. Ndr si può ricorrere alla strategia dell’equilibrio riflessivo o al metodo Delphi, basato su cicli ripetuti di elaborazione di pareri, seguiti da un esame dei motivi di discordanza e da una valutazione di dati empirici, fino al raggiungimento di un accordo. La ciclicità del metodo aspira a esplicitare il dissenso e a affrontarlo chiarendo se riguarda i valori, il peso assegnato a ciascun valore o una diversa interpretazione dei dati di fatto.
Conclusioni
La crisi pandemica ha dimostrato l’insufficienza di una politica che si riduce a tecnica. Gli interventi devono essere giusti oltre che necessari. Bisognerebbe rivalorizzare la concezione aristotelica di politica come “scienza architettonica”. Essa deve, infatti, mostrarci i fini ultimi che fanno da cornice a una visione complessiva della vita comune e consentirci di identificare i beni comuni e le loro priorità. In questa prospettiva la crisi eco-sistemica e la pandemia rappresentano occasioni imperdibili per dare un senso più alto all’etica e alla politica del futuro.