Autori: Roberto Alfieri, Giovanni Brembilla, Roberto Moretti. Percorsi di cura nell'ultimo anno di vita: nuovi metodi di indagine. Prospettive sociali e sanitarie n.11, 15 giugno 2009.

Introduzione

 Lo scopo di questa indagine è capire se sia possibile far luce sui percorsi assistenziali dell'ultimo anno di vita attraverso i dati contabili e amministrativi inclusi nei flussi informativi correnti. In relazione con questo obbiettivo abbiamo ricostruito a ritroso la storia di alcune categorie di malati partendo dal momento della loro morte. La ragione di questa scelta sta nel fatto che la morte è carica di un valore simbolico assolutamente particolare: si tratta di un passaggio capace, da un lato, di alimentare la nostra angoscia, dall'altro, di accendere le nostre speranze, connesse con le fedi più disparate. Siccome angoscia e speranza possono essere in parte condizionati dalla qualità dei servizi forniti nelle fasi finali della vita, ci pare urgente illuminare questo luogo e ciò che accade nelle sue vicinanze. Inoltre, la morte, ancorando a un momento comune le varie fasi temporali dell'evoluzione della patologia, diminuisce la variabilità delle condizioni dei malati e facilita il confronto tra i percorsi assistenziali subiti. Ci si potrebbe anche chiedere perché si vogliano indagare le ultime fasi della vita -un tema così delicato e complesso nei suoi svariatissimi aspetti di ordine fisico, psicologico, sociale e spirituale- attraverso i flussi dei dati contabili, che si propongono ben altre finalità. Sembrerebbe, infatti, più logico ricorrere ad altri tipi di indagine, basati su metodi di ricerca qualitativa, che potrebbero meglio chiarire quel che succede quando i malati si trovano in prossimità della morte e dipendono, più che in ogni altro momento della loro esistenza, dalle persone che li circondano e dai servizi garantiti dalle istituzioni. La ragione  per cui si è pensato, invece, ai dati dei flussi di routine, risiede nella speranza che indagini di questo tipo, a causa della diffusa disponibilità dei dati richiesti, diventino sistematiche nelle realtà delle nostre ASL e siano capaci di suscitare ulteriori iniziative. L'auspicio è che, a partire, ad esempio, da report annuali ben congegnati, possano essere eventualmente avviate indagini più approfondite che affrontino i problemi più critici da un punto di vista qualitativo. Si vorrebbe, insomma, tramite questa indagine iniziale e le riflessioni che l'accompagnano, contribuire ad infrangere la barriera di silenzio da cui tende ad essere nascosto, nelle nostre società, il tema della morte e, di riflesso, quello degli ultimi mesi di vita. Gli obbiettivi più specifici che ci siamo proposti di raggiungere sono molteplici. Riflettere su questi temi e mettere in evidenza delle situazioni problematiche al fine di perseguire dei cambiamenti migliorativi equivale, infatti: 1) ad affrontare la questione dell'appropriatezza delle cure non solo da un punto di vista tecnico professionale, ma anche dal punto di vista del paziente. Confrontando i percorsi assistenziali con quanto il malato stesso o le persone che gli vogliono bene ritengono più importante, si potrebbe, infatti, contribuire a mantenere un minimo di controllo su ciò che accade e adottare, fino alla fine, scelte coerenti col progetto esistenziale del malato. 2) Equivale a raggiungere una maggiore equità. Nonostante la diversità delle traiettorie assistenziali che ognuno , in relazione alle sue condizioni e preferenze, compie più o meno volontariamente nella prossimità della propria fine, si dovrebbe cercare di mantenere un adeguato livello di decenza per tutti. 3) Significa assicurare i cittadini che  la società è accanto a loro nei momenti più critici anche attraverso i suoi servizi e le istituzioni, consentendo, così, di mantenere salda la fiducia in se stessi e negli altri: una fiducia che non dovrebbe mai svanire, perché è correlata con la dimensione più vera e profonda della salute (1). 

Materiali e metodi L'indagine è basata sull'incrocio di record provenienti da diversi file, tramite il campo comune relativo al codice fiscale. Il diagramma di flusso (Figura 1) illustra gli incroci da noi effettuati tra i vari file e i nuovi archivi così ottenuti, con le loro principali caratteristiche. La descrizione dei differenti archivi compare nei riquadri del diagramma e precisa sistematicamente il numero delle persone osservate e delle diverse prestazioni da loro ottenute, mettendo in evidenza alcune statistiche più significative. Si è partiti dal file relativo alle cause di morte nell'Asl della provincia di Bergamo nel corso del 2006 (8477 persone decedute ) selezionando, tra queste, quelle affette da alcuni tipi di patologia cronica, sulla base dei criteri definiti dalla nostra Regione per la costruzione della banca dati assistiti (2). La selezione ha voluto privilegiare 3 patologie croniche (le classi 05, 07, 10 della Banca Dati Assistiti regionale) che, secondo la letteratura, possono rappresentare diverse tipologie di percorsi assistenziali (3): le malattie neoplastiche, quelle cardiovascolari e le neurologiche, ottenendo un totale di 4420 malati. Per il 76% di questi soggetti occorre tener conto della presenza di patologie associate, per cui la patologia attribuita va considerata come predominante secondo i criteri di classificazione. Solo in 1047  casi ci siamo trovati di fronte a singole patologie esclusive, in base ai criteri adottati. Di tutte le persone ci siamo proposti di  analizzare le traiettorie assistenziali negli ultimi 365 giorni di vita incrociando i loro record con diversi file: quello dei ricoveri, del cosiddetto File F (relativo ad alcuni farmaci particolarmente costosi prescritti in ospedale), delle prestazioni specialistiche, delle prescrizioni farmaceutiche, delle prestazioni di assistenza domiciliare integrata (Adi), delle esenzioni dal ticket. Per tutti questi file, incrociati  con il sottogruppo delle persone decedute nel 2006, siamo ricorsi, oltre che ai dati del 2006, a quelli del 2005, al fine di poter risalire, per ogni persona deceduta, a tutte le registrazioni relative agli ultimi 365 giorni di vita. Abbiamo così prodotto un file derivato dai diversi incroci precedenti in cui, per ogni singola persona appartenente all'insieme dei 4420 deceduti per le patologie croniche di nostro interesse, si sono potute raggruppare le informazioni di sintesi relative alle diverse prestazioni ottenute, incluse le eventuali esenzioni. Sulla base dei dati così acquisiti, si sono potuti effettuare diversi commenti relativi alla fruizione dell'Adi, dell'Hospice, dell'ospedale e confrontare tra loro le classi di patologia considerate riguardo ai costi, ai farmaci, alle esenzioni e all'accelerazione delle prestazioni in prossimità della morte. 

Risultati

 La popolazione oggetto di studio. La popolazione oggetto di studio è rappresentata da 4420 persone affette da malattia cronica: 2597 malati neoplastici  (59%), 1687 malati per cardiopatie (38%) e 136 malati affetti da neuropatie (3%). E' composta complessivamente per il 52,7% da maschi e per il 47,3% da femmine. Assistenza domiciliare integrata. A proposito dell'Adi, ci siamo trovati di fronte a 2 sorprese. La prima riguarda il fatto che ci aspettavamo che fosse ricorsa all'Adi la maggioranza dei nostri malati cronici.  Invece, solo il 26% di questa popolazione selezionata ha fruito del servizio. In particolare sono stati i pazienti neoplastici che sono ricorsi più frequentemente all'Adi, nel 32% dei casi (i cardiopatici nel 16%; i malati neurologici nel 26%). La seconda sorpresa deriva dal fatto che, tra quelli che hanno utilizzato l'Adi, ben il 45% se ne è servito unicamente nel corso dell'ultimo mese di vita. Solo il 30% ha iniziato a fruire del servizio Adi almeno 3 mesi prima di morire. Abbiamo anche confrontato i costi complessivi e quelli specifici per ricoveri, farmaci e prestazioni specialistiche relativi a chi ha fruito dei servizi Adi e a chi non ne ha fruito. I costi complessivi medi sono superiori del 15% per chi ha fruito del servizio Adi (14340 euro a fronte di 12439). Le maggiori differenze si riscontrano nei malati neurologici (12442 euro rispetto a 7331). Qualcuno potrebbe aspettarsi che l'Adi riduca i costi dei ricoveri ospedalieri, invece si riscontra che i pazienti che lo utilizzano hanno provocato costi ospedalieri mediamente più elevati del 7%. La spiegazione può provenire  dal fatto che chi accede all'Adi è in genere in una situazione di maggior gravità rispetto a chi non accede, per cui necessita di maggiore assistenza, soprattutto di ricoveri più frequenti del 18%. Tra l'altro, l'incremento di spesa per i pazienti che fruiscono dell' Adi viene soprattutto dai costi delle stesse prestazioni domiciliari che ammontano mediamente a 1051 euro nel corso dell'ultimo anno di vita. La maggiore differenza tra pazienti che fruiscono o non fruiscono dell'Adi si nota nell'ambito dei pazienti neurologici a causa dell'intensità assistenziale dei servizi domiciliari: qui i costi medi dell'Adi nel corso dell'ultimo anno di vita ammontano a  2076 euro, quasi il doppio della media complessiva, calcolati su un numero totale di 36 persone. Per essere più precisi nei confronti abbiamo anche considerato più specificamente l'insieme delle persone morte per alcune cause selezionate. In questa analisi abbiamo potuto constatare che le differenze più importanti tra i pazienti seguiti e quelli non seguiti dall'Adi si riferiscono oltre che alle persone decedute per morbo  di Alzheimer, alle persone decedute per cardiopatia ischemica e, soprattutto, per infarto cardiaco. A parte i costi medi, nell’ambito delle persone morte per patologie cardiovascolari si è presentata una variabilità molto marcata che potrebbe far pensare alla influenza di fattori aggiuntivi rispetto alla diversa gravità della patologia: ad esempio, a un'eventuale induzione di domanda, più o meno legata a un eccesso di offerta (4). Hospice A proposito degli Hospice , i pazienti neoplastici inclusi nella nostra indagine hanno fruito di tale servizio nella percentuale del 15,4%. Inoltre, ben il 39% di loro è stato ricoverato in hospice solo nel corso dell'ultima settimana di vita (Figura 2) . La dotazione di posti letto di hospice nella nostra provincia nel 2006 ammontava a 34 in regime ordinario e 5 in day hospital. Viene comunemente considerato uno standard minimo la dotazione di un posto letto ogni 56 pazienti deceduti in un anno per tumore. In base a tale standard dovremmo superare, nella provincia di Bergamo, la soglia dei 46 letti. Dal 2007 possiamo avvantaggiarci di ulteriori 8 posti letto in corso di accreditamento, arrivando così al numero di 47 letti. Circa il 7% dei ricoverati in hospice ha subito più di un ricovero. La degenza media è stata inferiore alle 2 settimane nel 60% dei casi.Per quanto riguarda i costi sostenuti (calcolati attraverso la somma dei costi dei ricoveri, dei farmaci, delle prestazioni specialistiche e dell'Adi) a differenza di quel che succede per l'Adi, dove la differenza è del 15% superiore per chi ne ha fruito, la differenza tra chi ha utilizzato l'hospice e chi non lo ha utilizzato è nell'ordine del 7%  . Addirittura, per la spesa farmaceutica, si verifica, per chi ha fruito dell'hospice, una spesa inferiore del 6%. Sebbene tale differenza non sia statisticamente significativa, potrebbe essere ipotizzata la presenza di un atteggiamento meno pretenzioso nei confronti dei farmaci da parte di chi aderisce alle cure palliative. Ricoveri ospedalieri Le persone della nostra popolazione che si sono ricoverate in ospedale negli ultimi 365 giorni sono 3.985 (il 90% del totale). Il numero medio di ricoveri per tale popolazione è stato 2,78. Di queste persone il 68% ha subito più di un ricovero con un numero medio di 3,63 ricoveri. Per chi ha subito più di 1 ricovero nel corso dell'ultimo anno di vita la frequenza media del cambiamento di ospedale è stata del 57%. Questo fatto pone in luce 2 fattori critici: da un lato, sul versante dei malati, la difficoltà di adattamento subita da persone verisimilmente in condizioni di autonomia limitata, con un'età media superiore ai 70 anni per i maschi e agli 80 per le femmine; dall'altro, sul versante dei servizi, la criticità della continuità delle cure, che è resa più ardua dai cambiamenti dei contesti assistenziali, avvenuti nel 57% delle persone che hanno subito più di 1 ricovero. Tutto ciò implica, inoltre, la necessità di un buon passaggio di informazioni: non solo dall'ospedale al territorio, ma anche dall'uno all'altro presidio ospedaliero. Abbiamo poi verificato che il 47% delle 4.420 persone studiate muore in ospedale. Tra tutti i pazienti deceduti sono i cardiopatici e i neoplastici a morire in ospedale più frequentemente, rispettivamente nel 49% e nel 47% dei casi. I pazienti neuropatici, invece, muoiono in ospedale nel 21% dei casi. Una spiegazione di tale diversità proviene dalla letteratura che mette in evidenza come le traiettorie assistenziali per i malati cardiopatici siano costellate da vari episodi acuti che necessitano di ricoveri in ospedale e sono seguite da fasi di relativa remissione più o meno duratura. Sia per le cardiopatie che per le neoplasie è comprensibile come sia possibile che in occasione di un episodio di netto decadimento si verifichi un ricovero e, in questa occasione, possa subentrare la morte. La sostanziale equivalenza nella frequenza di morte in ospedale tra i cardiopatici e i malati neoplastici fa pensare come una maggior frequenza degli episodi di aggravamento nei cardiopatici, tipica della loro traiettoria assistenziale, possa essere compensata, nei malati neoplastici, da un  periodo più grave e più lungo di decadimento, collocato caratteristicamente, nella fase terminale della loro vita. La traiettoria dei malati neurologici è invece caratterizzata da un lento e progressivo decadimento a partire dall'epoca dell'esordio clinico, senza episodi di aggravamento acuto che spiegano la minor frequenza di ricovero e  morte in sede ospedaliera (3). Se si restringe, poi, l'analisi specificamente a quella parte di popolazione studiata ospite delle Rsa, un ambito protetto che si distingue per la sua progressiva medicalizzazione, la percentuale dei morti in ospedale scende al 29% delle 301 persone ricoverate in Rsa. Simile è anche la percentuale delle persone morte in ospedale tra i malati assistiti in Adi: 28%. Ciò testimonia il fatto che l’Adi, benché usi accompagnarsi a condizioni di una certa gravità, possa in parte prevenire i ricoveri degli ultimi giorni di vita, discutibili per la loro appropriatezza. Sempre in riferimento alle Rsa, distinguendo per le patologie, sono i cardiopatici a morire più spesso in ospedale (38%), mentre i malati neoplastici vi muoiono nel 18% dei casi, e i neuropatici nel 7%.  Comunque, sull’insieme complessivo dei malati tumorali studiati , la percentuale da noi rilevata delle persone morte in ospedale (47%) appare coerente con quanto risulta da un'indagine Istat del 2002, secondo cui il 50% dei decessi dei malati tumorali residenti nelle regioni del centro-nord avviene negli ospedali. Farmaci Si può ipotizzare che tutti i 4420 malati della popolazione studiata siano stati destinatari di prescrizioni farmaceutiche. Tuttavia, incrociando il file dei farmaci acquistati con quello dei 4420 malati si sono ottenute solo 4206 osservazioni. La spiegazione di una mancanza del 4,8% dei pazienti complessivi può derivare dal fatto che, nell'archivio dei farmaci, il 5% dei record manca del campo relativo al codice fiscale da noi utilizzato come campo comune per l'incrocio dei file. Abbiamo analizzato le prescrizioni degli analgesici nei malati neoplastici. Esse rappresentano il 9% del numero delle prescrizioni totali in questi malati. Il 66% delle persone studiate affette da neoplasia ha avuto una o più prescrizioni di farmaci analgesici nel corso dell'ultimo anno. La distribuzione di frequenza del numero dei mesi di trattamento con farmaci analgesici misurati sulla base delle dosi quotidiane definite (D.D.D.) appare nella Figura 3. Il 79% dei malati neoplastici con prescrizioni di analgesici ha avuto 1 o più mesi di trattamento  teorico nel corso dell'ultimo anno di vita. Il 4% ha avuto prescrizioni per almeno 10 dei 12 mesi che gli sono rimasti da vivere. Analizzando, poi, la relazione tra il numero di dosi di analgesici prescritti nelle diverse date e la distanza temporale dalla morte, non si riscontra un progressivo aumento in corrispondenza delle fasi terminali della vita. I dati farebbero supporre che il dolore non sia correlato con la progressione della malattia, essendo le dosi prescritte pressoché equivalenti nel corso di tutti i mesi dell'ultimo anno di vita.   Confronti tra i costi sostenuti nei diversi gruppi di malati I malati neoplastici sono quelli che hanno comportato una spesa complessiva media più elevata nel corso del loro ultimo anno di vita (14.714 euro contro 13.601 e 12.926, rispettivamente per i pazienti neurologici e cardiologici). Sommando i costi per le prescrizioni di farmaci, le prestazioni specialistiche e i ricoveri (incluso il filef) risulta, per tutte e 3 le patologie considerate, che le donne hanno un costo medio inferiore rispetto agli uomini in tutte le voci di spesa considerate. Lo scarto complessivo nei confronti del sesso maschile è del 16%. Risulta anche che le persone con grado di istruzione più elevato comportano costi più elevati, in coerenza col principio per cui all'aumento del livello di scolarità consegue un incremento di domanda. Lo scarto percentuale tra le persone dotate di laurea e quelle che hanno conseguito la licenza elementare è nell'ordine del 36% (17.608 a confronto con 11.332 euro).  Permangono, tuttavia, dubbi relativi alla correttezza della compilazione del grado di istruzione nelle schede di morte dalle quali il dato è stato trascritto nel registro di mortalità. Se si prende in considerazione lo stato civile, risulta che i divorziati hanno un costo più alto, seguiti dai coniugati, dai celibi e, in ultimo, dai vedovi. Su tale  associazione tra stato civile e costi  può influire l'età che appare inversamente correlata con i costi sostenuti. Abbiamo anche confrontato i costi relativi a malati residenti nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) con quelli dei malati seguiti dai medici di famiglia.. E' risultato residente in Rsa il 6,8%  della popolazione studiata, composto da maschi nel 53% dei casi. Si è potuto constatare che i costi medi complessivi per i pazienti seguiti in Rsa sono del 17% inferiori rispetto ai costi dei malati seguiti dai medici di famiglia. Un'eccezione riguarda, invece, i pazienti neurologici che costano circa il 50% di più sia per le prestazioni specialistiche che per quelle ospedaliere quando sono seguiti dalle Rsa. Si potrebbe pensare che i pazienti neurologici seguiti nelle Rsa siano in parte selezionati per la loro gravità. A questo proposito va segnalato anche come sia stato seguito nelle Rsa il 20% dei pazienti neurologici complessivi, mentre per le neoplasie sono stati assistiti il 3,5% dei malati e per le cardiopatie l'11%. Confronti nel tempo L'ipotesi da cui siamo partiti è che si potesse verificare un'accelerazione delle prestazioni all'approssimarsi della data di morte, a causa dell'aggravamento delle condizioni morbose. Tale ipotesi è stata confermata dalla nostra analisi. Sono soprattutto i ricoveri ospedalieri che accelerano nel corso dell'ultimo trimestre di vita: il 51% di essi avviene in questo periodo, rispetto a un atteso del 25% nel caso di indipendenza dal tempo. Inoltre, il 54% di questi si verifica nell'ultimo mese di vita e, tra i ricoveri dell'ultimo mese,  il 49% si attua negli ultimi 10 giorni. Si potrebbe dire, semplificando, che per la distribuzione dei ricoveri nel tempo vale la regola del 50%: circa la metà avviene nell'ultimo trimestre e, tra questi, circa la metà nell'ultimo mese e ancora, tra questi, circa la metà negli ultimi 10 giorni. L'accelerazione dei ricoveri risulta maggiore nel caso delle patologie cardiache (addirittura il 61% avviene nell'ultimo trimestre). Occorre considerare che nell'ultimo anno di vita i cardiopatici fruiscono meno dei servizi ospedalieri rispetto ai malati neoplastici (81% rispetto a 97%). Quando il ricovero avviene, però, è più facile che sia seguito dalla morte, a testimonianza della gravità dell'episodio di riacutizzazione. E' stata anche verificata un'accelerazione, seppure di minor grado, delle prescrizioni farmaceutiche (il 41% ricade nell'ultimo trimestre) e delle prestazioni specialistiche: per questa ultima in misura ancora inferiore (solo il 33% ricade nell'ultimo trimestre) Esenzioni Il 68% delle 4420 persone studiate risulta in possesso di 1 o più esenzioni. Circa il 60% fruisce di un'unica esenzione. Circa il 3% risulta esente per 4 o più patologie contemporaneamente. Non ci sono differenze spiccate in relazione alle 3 diverse classi di patologia. I cardiopatici, tuttavia, appaiono  fruire più frequentemente di questo beneficio: essi sono esenti nel 73% dei casi; i malati neoplastici lo sono per il 66%, i  neuropatici per il 68%. Se si calcolano gli anni trascorsi dalla data della prima esenzione alla morte -un indicatore approssimativo della durata della condizione patologica- almeno in quel 10% di records in cui è presente la data della prima esenzione, risulta che per i pazienti neoplastici suole trascorrere meno tempo che per i cardiopatici (circa il 61% è sotto i tre anni nel primo caso e solo circa il 34% nel secondo): ciò può dipendere da un decorso più accelerato nelle neoplasie che nelle cardiopatie. Il numero esiguo di esenzioni registrate nei pazienti neurologici non ci consente un confronto di questo tipo. 

Discussione

 Si potrebbe dire che la caratteristica principale della cronicità è quella di non lasciarsi assimilare ad alcuna tipologia predefinita, data l'estrema variabilità biologica, psicologica e sociale dei singoli casi in cui si presenta. Diventa quindi difficile qualsiasi interpretazione relativa a particolari sottoclassi di malati senza addentrarsi nella conoscenza delle storie e delle circostanze specifiche che hanno caratterizzato i singoli casi. Nonostante questo, l'indagine è servita a mettere in luce alcuni fatti che necessitano di ulteriori approfondimenti. Prima di tutto occorre riconoscere che gli ospedali non rappresentano solo il luogo in cui ci si cura e si guarisce, ma, per quasi il 50% della popolazione studiata affetta da malattie croniche, sono anche il posto in cui si muore. La morte non figura, perciò, come un "incidente" sporadico difficilmente prevedibile, ma come un evento per buona parte atteso. La frequenza delle morti in ospedale dovrebbe indurci a una profonda riflessione poiché le corsie ospedaliere non sono il luogo più adatto per affrontare i complessi bisogni di una persona che muore, soprattutto se in seguito a una patologia cronica. C'è, inoltre, da chiedersi se gli ospedali siano preparati a svolgere questa funzione con il dovuto decoro e, in caso contrario, che cosa si possa fare per migliorare. Si potrebbero ipotizzare 3 percorsi. - Il primo riguarda il miglioramento delle capacità prognostiche dei medici. Se, infatti, si riuscisse a prevedere con sufficiente attendibilità che un malato, date le prerogative del suo stato, può trarre ben poco beneficio da un ricovero ed è destinato a morire nel giro di qualche giorno, forse lo si ricovererebbe meno facilmente. In realtà, però, il giudizio prognostico, in base a quanto ci tramanda la letteratura, è soggetto ineludibilmente a una forte possibilità di errore, tanto che gli stessi specialisti sbagliano clamorosamente nel momento in cui devono esprimersi sulla sopravvivenza del loro malato. Ad esempio, in uno studio effettuato su un campione di 1976 pazienti con scompenso cardiaco valutati 3 giorni prima di morire il giudizio prognostico di specialisti esprimeva una probabilità di almeno l'80% di sopravvivenza oltre i futuri 6 mesi (5). Occorre, poi, realisticamente considerare che il ricovero in ospedale  è legato anche alle pressioni da parte dei familiari che, da una parte, vogliono essere certi di aver fatto di tutto per mantenere in vita il proprio caro il più a lungo possibile e, dall'altra, non si sentono all'altezza nel prestare le cure dovute a un malato prossimo a morire. - Una possibilità più realistica di miglioramento riguarda, invece, l'accordo, a livello locale, sui criteri da adottare per il ricovero di malati neoplastici in fase terminale. Un obbiettivo potrebbe consistere nel tendere a passare da una percentuale del 47% di malati tumorali morti in ospedale, pari a quella osservata, a una percentuale più vicina a quella che si riscontra, invece, negli assistiti dell’Adi (dove il 27% dei malati neoplastici muore in ospedale) mediante un opportuno potenziamento di questo servizio. Un altro obbiettivo potrebbe riguardare una migliore fruizione dei posti letto di hospice che abbiamo visto essere utilizzati esclusivamente durante l'ultima settimana di vita dal 39% dei pazienti neoplastici che vi sono stati ricoverati. C'è infatti da chiedersi se in una situazione di tale prossimità alla morte, possano essere valorizzate appropriatamente le caratteristiche di risposta ai bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali tipiche di questi luoghi di cura. Bisognerebbe impegnarsi per cambiare la cultura corrente secondo la quale l'hospice viene concepito come un luogo in cui si va a morire, per cui l'ingresso in questa struttura viene ritardato il più possibile per evitare di dare ai malati l'impressione che non ci sia più nulla da fare e non aumentare la loro disperazione.   E' probabile che una diversificazione dei servizi di hospice nelle cure palliative domiciliari, così come è recentemente avvenuto nella nostra provincia, possa contribuire a diffondere la cultura della palliazione,  personalizzare meglio l'offerta di questo importante servizio e migliorare l'appropriatezza nell'uso dei suoi letti di degenza. - Nonostante tutti gli sforzi, dal momento che, comunque, è impensabile azzerare la quota di persone destinate a morire in ospedale, sarebbe opportuno che il personale ospedaliero fosse adeguatamente preparato a fronteggiare questo evento così frequente. Esistono già delle linee-guida predisposte proprio con questo fine (6). Potrebbero essere riprese ed eventualmente riadattate ai nostri contesti per renderci meglio consapevoli dell'importanza dell'accompagnamento dei malati nell'imminenza della loro morte e poter così adempiere degnamente al nostro ruolo anche nel contesto ospedaliero. Altre riflessioni meritano di essere fatte a proposito dell'Adi. Abbiamo visto come, nella popolazione studiata, sia ricorso all'Adi solo il 26% dei malati e, di questi, ben il 45% ne abbia fruito unicamente nel corso dell'ultimo mese di vita. Da un lato, questo potrebbe far pensare a una sostanziale capacità di sostegno da parte delle famiglie che, per la maggior parte, evitano di ricorrervi; dall'altro, a una conoscenza non ancora sufficientemente capillare di questo servizio che risulta apprezzato da circa il 95% di chi lo utilizza. Occorre anche tener conto della sua relativa giovinezza cui non è estranea una variabilità di copertura impressionante nel nostro Paese. Ad esempio, una elaborazione dell'Istat relativa all'Adi nelle diverse Regioni italiane mostra come, ancora nel 2006, la copertura del servizio, (misurata in numero di casi seguiti rispetto al totale della popolazione superiore a 64 anni) variasse dal 7,5% in Friuli Venezia Giulia allo 0,2% in Valle d'Aosta (7) . Nella nostra indagine abbiamo poi potuto verificare come le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) assolvano a un ruolo importante anche come nodi della rete dei servizi sanitari. Va sottolineato, ad esempio, che nelle Rsa sono assistiti i pazienti neurologici più gravi che non possono trovare a domicilio le condizioni di cura adatte e necessitano di un maggior numero di ricoveri e prestazioni specialistiche. Inoltre, grazie alla dotazione medica  e infermieristica presente nelle Rsa, la popolazione che vi risiede muore in ospedale solo nel 29% dei casi rispetto al 47% della popolazione complessiva studiata. 

Conclusione

 Oggi si insiste molto sul dovere di mettere al centro dell'attenzione dei servizi il malato con i suoi problemi. In conseguenza di ciò anche i dati dei sistemi informativi vanno analizzati in modo che si possa avere una certa rappresentazione, per quanto sintetica ed approssimativa, dei problemi dei pazienti. Perciò non devono essere le singole prestazioni  a calamitare i nostri interessi, ma i malati. Quindi, in un'epoca di netta prevalenza di malattie croniche come la nostra, i sistemi informativi non devono mettere in luce solo i singoli episodi di malattia, ma le traiettorie che nascono dalla molteplicità dei contatti coi servizi. Non dobbiamo fotografare delle situazioni statiche, ma filmare delle condizioni dinamiche,  cercando indicatori che tengano conto del flusso del tempo (8). Con la nostra indagine ci siamo avviati su questa strada per ricostruire retrospettivamente il percorso degli incontri significativi col servizio sanitario e calcolare alcune statistiche che ci permettessero commenti, confronti e valutazioni. Abbiamo così messo in luce alcuni problemi, come la relativa carenza dei servizi di assistenza domiciliare, la frequenza delle morti in ospedale, una valorizzazione ancora insufficiente delle cure palliative. Ma queste criticità rischiano di non provocare nessun effetto trasformativo se le storie di vita di cui ci occupiamo vengono registrate solo nelle memorie magnetiche dei nostri computer. L'archiviazione e la successiva elaborazione rappresentano delle condizioni necessarie, ma sono insufficienti a garantire le trasformazioni che ci aspettiamo. Abbiamo bisogno di arricchire le tracce fondamentali di queste storie avvalendoci dei racconti tratti dalla memoria di operatori, malati e familiari. Da un lato, perciò, ci proponiamo di affinare i metodi di analisi che abbiamo applicato, dall'altro, vogliamo abbinare la ricerca quantitativa a indagini di tipo qualitativo per tener nel dovuto conto la soggettività dei malati e personalizzare al meglio i percorsi assistenziali. Proprio questa esigenza rappresenterà il fulcro del nostro impegno futuro. Occuparsi della cronicità e, soprattutto, degli ultimi mesi di vita, vuole essere anche un tributo alla dimensione etica delle professioni sanitarie. Ai nostri giorni i servizi sanitari si giustificano essenzialmente sulla base di criteri etici, e ciò diventa ancor più vero per l'assistenza prestata nelle ultime fasi della vita (9). Le cure di questo tipo non sono finalizzate al reinserimento lavorativo né motivate socialmente da un fine economico, ma rispondono soprattutto all'esigenza morale di offrire un aiuto appropriato a chi ne necessita. Assistere i malati cronici implica la consapevolezza che quanto più l'altro è debole, incapace di pretendere, contestare e denunciare, tanto maggiori diventano le nostre responsabilità. I sistemi informativi devono essere valorizzati per tutto quello che possono dare, ma per quanto perfezionati rileveranno tutti i loro limiti, soprattutto in ambiti così complessi. Dobbiamo, infatti, riconoscere che la chiarezza e l'assenza di ambiguità possono essere l'ideale nell'ambito delle malattie acute, in cui la regola è l'esecuzione delle procedure, ma, per il mondo della cronicità, l'ambivalenza e l'incertezza sono di casa e non possono essere eluse senza distruggere, nello stesso tempo, la sostanza morale della responsabilità, il fondamento su cui poggiano da sempre i servizi sanitari. 


Bibliografia 

1 S. Colombo. Quando viene la malattia. Edizione Comunità Redona, Bergamo, 2008. 2 G. Brembilla. Banca dati assistiti. Guida alla lettura. ASL della provincia di Bergamo, Bergamo, 2005. 3 S. Murrayet al. Illness trajectories and palliative care.BMJ 2005;330:1007-1011 (30 April). 4 Redazione. In Lombardia troppe cardiochirurgie. L'eco di Bergamo, pag.43, 9-11-2008. 5 T. E. Finucane. How Gravely Ill Becomes Dying. A Key to End-of-Life Care. JAMA vol 282 n.17, nov. 3, 1999. 6 Liverpool care pathways for the care of the dying. Liverpool Care Pathway website www.mcpcil.org.uk 7 Istat. Indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali dei Comuni su dati ministero della salute Sistema informativo sanitario (SIS), 2007. 8 R. Alfieri. Le Idee Che Nuocciono Alla Salute. Edizione Angeli, Milano, 2007. 9  Z. Bauman. La Società Individualizzata.  Ed. Il Mulino Bologna, 2002.