Introduzione


Viviamo in un mondo globalizzato e sempre più interdipendente. Tutti veniamo insieme coinvolti dalle emergenze belliche, terroristiche, climatiche, ecologiche, migratorie ed economiche: emergenze che si influenzano vicendevolmente e, interagendo, moltiplicano la gravità dei loro effetti.

Succede così anche per la salute. Lo si capisce meglio a proposito delle malattie infettive che si trasmettono da persona a persona e arrivano a contagiare tutti i continenti. Ma anche gli stili di vita e le idee malsane possono nuocere alla salute e contaminare le culture di interi popoli. E' accaduto così per l'“epidemia” di cancro polmonare, associata alla diffusione forzata del fumo di tabacco; per il diabete e   l'obesità, legati alla spinta al consumo di dolci e bibite zuccherate; per le gastro-enteriti, dovute al marketing irresponsabile sul latte in polvere, per sostituire l'allattamento al seno anche in Paesi in via di sviluppo, dove non poteva essere garantita la potabilità dell'acqua.

Le esigenze dI mercato hanno influenzato negativamente gli usi e costumi tradizionali.

Accade lo stesso per le idee, come quella per cui più farmaci e più prestazioni equivalgono a più salute. Si continua a credere che tanto più si investe nei servizi sanitari, tanto meglio si sta.

Occorre cambiare questa mentalità. Per riuscirci non basta più una prospettiva locale. Dobbiamo adottare una visione sistemica, imparare gli uni dagli altri e interessarci della salute di tutti, ragionando sui fattori che la condizionano.

Migliorare la salute di tutti è più che mai un'esigenza pragmatica, per via dell'interdipendenza. Ma, a parte questo, è soprattutto un'esigenza morale, perché oggi l'essere sani o malati non dipende tanto dalle nostre scelte individuali, ma, fondamentalmente, dal luogo della terra in cui nasciamo e dalla posizione socioeconomica occupata dai nostri genitori.



Da cosa dipende la salute?


E' importante porsi questa domanda perché la salute è molto apprezzata in tutte le culture del globo e ha a che fare con la felicità. E' una componente importante, anche se non l'unica, della qualità della vita: uno di quei beni essenziali che concorrono a definire una vita "buona" (1).

Comunemente si pensa che la salute di un Paese dipenda molto dal reddito dei suoi abitanti. Abbiamo l'impressione, infatti, che col denaro si possa comprare tutto. Questo, però, è vero solo in parte: in uno studio sulla relazione tra reddito e qualità della vita, solo 3 variabili su 69 apparivano trainate dall'aumento del reddito: la quantità di calorie, di proteine e il numero di telefoni fissi (2). Ce lo confermano diversi studi che mettono in relazione il reddito pro-capite di diversi Paesi con la longevità media dei loro abitanti (3).


In essi, la longevità viene assunta come un indicatore approssimativo dello stato di salute. I risultati dimostrano che fino a una certa soglia di reddito, situata verso i 10.000 dollari, esiste la correlazione che ipotizziamo. In effetti, un reddito minimo è necessario per provvedere all'alloggio e procurarsi il cibo necessario a vivere. Tanto che al miglioramento delle abitazioni e della nutrizione è dovuto il maggior contributo all’aumento della longevità fino alla metà del secolo scorso. Superato il limite di circa 10.000 dollari, però, il reddito pro-capite non è più correlato con la longevità. Esistono Paesi meno ricchi che hanno una longevità superiore rispetto a quelli più facoltosi. Si potrebbe confrontare, ad esempio, la longevità del Cile (superiore, nonostante il reddito sia di 4 volte inferiore) rispetto a quella degli Usa.

Se la salute non dipende dal reddito dei singoli Paesi, almeno al di sopra di una data soglia, potremmo, allora, ipotizzare che dipenda da quanto si investe nei servizi sanitari. Ma, analizzando i dati esistenti, ci accorgiamo che anche la spesa sanitaria pro-capite (pubblica e privata insieme) di ciascun Paese non è correlata con la longevità.

Se si confrontano, ad esempio, gli Usa con Cuba, che hanno analoghe longevità, notiamo una differenza di ben 25 volte per quel che riguarda la spesa sanitaria pro-capite. Per fare un altro esempio estremo, la Costa Rica, che ha addirittura una longevità media superiore agli Usa (79 anni rispetto a 77) ha una spesa sanitaria pari a un ventesimo di quella degli Stati Uniti.

Si potrebbe, quindi, pensare che non conta la quantità della spesa sanitaria, ma la sua qualità. Bisogna spendere oculatamente, con appropriatezza. E, ancor prima, bisogna riconoscere che la salute dipende, in gran parte, da come è organizzata la società, dalle sue condizioni socio-culturali, da come si nasce, si cresce, si studia, si lavora e si invecchia (4).

Sono illuminanti, a questo proposito, gli studi di Wilkinson e Pickett che dimostrano come la salute, nei Paesi dell'occidente industrializzato, dove il reddito pro-capite supera la soglia prima considerata di 10.000 dollari, sia correlata con le sperequazioni sociali. Tanta più disuguaglianza esiste nelle posizioni socio-economiche dei suoi abitanti, tanto più malata è la società di un dato Paese. Il grafico seguente mette in evidenza questa correlazione che può essere spiegata, in parte, dallo stress provocato dalle sperequazioni, con le sue conseguenze sull'intero organismo, e, dall'altra, da una minore attenzione, nei Paesi afflitti da disuguaglianza più elevata, all'istruzione, alla sicurezza, all'assistenza e all'accessibilità dei servizi sanitari (3)


.


Insomma, sono diversi i fattori che influenzano la salute e la qualità della vita. Il reddito è solo uno di questi e assume importanza al di sotto di certe soglie che dovrebbero essere garantite a tutti i cittadini del mondo, per ragioni pratiche e morali. Tra i diversi Paesi ci sono, infatti, differenze di reddito abissali che provocano un'enorme mole di sofferenza ed estesi flussi migratori internazionali, socialmente insostenibili sia per i Paesi di origine (a parte i casi di chi fugge per guerre o persecuzioni, migrano soprattutto i giovani più intraprendenti e istruiti, impoverendo i Paesi di provenienza) sia per quelli di destinazione (in una fase di crisi occupazionale, mancano i posti di lavoro che potrebbero assicurare agli immigrati una vita dignitosa e, nello stesso tempo, aumenta l'ostilità dei lavoratori meno qualificati).

E', perciò, importante riflettere sulle disuguaglianze di reddito anche in una prospettiva sistemica.








Le disuguaglianze di reddito in una prospettiva sistemica


Si suole parlare di disuguaglianze in 3 ambiti diversi: all'interno di una nazione, tra nazioni diverse e in ambito globale (5).

1) Abbiamo già accennato alla disuguaglianza all'interno dei singoli Paesi. All'interno di un singolo Paese le differenze di reddito, di istruzione, di posizione lavorativa e di condizione abitativa determinano un notevole impatto sulla salute. Ad esempio, in Inghilterra, dove questo tipo di studi è più avanzato, si nota una differenza di 7 anni tra la longevità che si raggiunge nelle zone più ricche e in quelle più povere.

Se, poi, si considera la durata della vita libera da disabilità, la differenza cresce fino a 17 anni: in termini precisi, per le classi più fortunate, la disabilità inizia mediamente a 70 anni, mentre, per le classi più disagiate, a 53 anni (ancora in età lavorativa, ben al di sotto dell'età di pensione!).

Per farsi un'idea di quanto le differenze socio-economiche condizionino l'intera traiettoria esistenziale delle persone occorre meditare sui risultati di un altro studio. Riguarda la coorte di 17.000 bambini na nel Regno Unito nel 1970. Si è preso in considerazione lo sviluppo cognitivo di bambini dall'età di 22 mesi all'età di 10 anni. Si è constatato come i bambini che all'età di 22 mesi avevano conseguito un livello alto di sviluppo cognitivo ma provenivano da una famiglia di basso livello socio-economico, all'età di 10 anni si ritrovano con un livello di sviluppo cognitivo inferiore a quello di bambini che a 22 mesi partivano da un livello basso di sviluppo cognitivo, ma provenivano da una famiglia di alto livello socio economico.

Questo succede perché la posizione socio-economica della famiglia d’origine tende a trascinare verso l’alto i bambini delle classi sociali più elevate e spinge verso il basso quelli delle classi sociali inferiori. La scuola non risulta in grado di riequilibrare situazioni preesistenti di svantaggio, ma riflette fedelmente le posizioni sociali occupate. La disuguaglianza nelle posizioni socio-economiche genitoriali marchia a fuoco indelebilmente la vita delle persone. Essa, infatti, provoca stress, che deriva   dall'attitudine umana a confrontare il proprio stato con quello dei propri vicini e a provare invidia, rancore, la sensazione di essere vittime di ingiustizie. Aumenta la diffidenza, la sfiducia nei confronti degli altri e del futuro, si allenta la coesione sociale. Le disuguaglianze fanno male, come abbiamo visto, soprattutto alle persone che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale di un singolo Paese, ma nuocciono anche a chi occupa le posizioni più alte. Esse agiscono, infatti, come un inquinante sociale che ammorba l'ambiente per tutti coloro che lo abitano. La popolazione intera viene esposta ad ambienti di vita meno sani e adotta più facilmente stili di vita sfavorevoli alla salute. Può accadere addirittura che i gruppi sociali più avvantaggiati in un Paese sperequato lamentino livelli di salute peggiori rispetto ai gruppi sociali più bassi di un Paese con minori sperequazioni come, ad esempio, la Svezia (3).

Esistono, quindi, delle condizioni politiche e istituzionali legate agli squilibri socio-economici che influenzano la salute e sono capaci di rendere, di per sé, le società più o meno sane. A queste condizioni e a questi squilibri dobbiamo rivolgere la nostra attenzione se vogliamo promuovere la salute della popolazione mondiale.


2) In passato, prima della rivoluzione industriale di inizio 800, le differenze tra le nazioni erano minori perché la maggior parte dei Paesi esistenti non superava la soglia di sussistenza. Gran Bretagna e Olanda, i Paesi più ricchi del mondo, erano solo 3 volte più ricchi di Cina e India, che si annoveravano tra i Paesi più poveri del mondo. Oggi, il rapporto tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri è superiore a 100. Con la rivoluzione industriale, infatti, sono esplose le differenze, dando luogo al fenomeno della divergenza dei redditi.

Le disuguaglianze tra nazioni si esprimono in differenze tra il Pil pro-capite. Dobbiamo, però, tener conto del diverso potere d'acquisto per rendere confrontabili i redditi di aree geografiche eterogenee. Sappiamo, ad esempio, che il livello dei prezzi in Cina è il 42% di quello negli Usa; in Norvegia è il 137%. Siamo, così, in grado di fare dei confronti nello spazio Il reddito viene confrontato in termini di Purchasing Power Parity Dollar (dollaro a parità di potere d'acquisto). La differenza tra Gran Bretagna e Cina, ad esempio, è 6 a 1, il doppio di quel che era nel 1820, benché oggi la Gran Bretagna non sia più il Paese più ricco del mondo né la Cina appartenga ai più poveri. Attualmente il mondo è diventato un luogo estremamente disuguale. Le differenze nei redditi tra Paesi diversi rappresentano la più forte spinta al desiderio di migrare verso aree più ricche del pianeta.

Questa situazione, contrariamente a quanto si è soliti credere, non va attenuandosi, almeno nel medio termine. Infatti, nonostante i progressi, soprattutto di India e Cina, restano notevolissime differenze in termini di reddito assoluto tra Paesi in via di sviluppo e Paesi ricchi. Ad esempio, data la grande differenza dei redditi di partenza, perché le differenze assolute non aumentino tra il Pil pro-capite Usa e quello cinese o indiano, a fronte di una crescita annuale anche solo dell'1% negli Usa, in India si dovrebbe raggiungere il 17% e in Cina l'8,6% di incremento (5). In altre parole, in India e Cina si deve correre forsennatamente solo per mantenere lo stesso distacco attuale. Questo spiega perché la distanza, in termini assoluti, tra Paesi ricchi e poveri sia effettivamente aumentata. Ancora una volta, la teoria economica neo-classica è stata smentita dalla realtà dei fatti. Non si è verificato ciò che essa induceva a prevedere, ossia che gli investimenti diretti esteri si indirizzassero principalmente verso Paesi con manodopera a basso costo. In realtà i capitali si sono spostati principalmente non da Paesi ricchi a Paesi poveri, ma da Paesi ricchi a Paesi ricchi. Talvolta, i flussi di capitali si spostano addirittura da Paesi poveri a Paesi ricchi, per via della maggiore stabilità e sicurezza che questi ultimi possono garantire (5).

3) La disuguaglianza globale è molto elevata perché tiene conto sia delle differenze tra nazioni che di quelle all'interno delle singole nazioni. Abbiamo già accennato al crescente divario dei redditi all'interno di molti Paesi e alle aumentate differenze dei redditi tra i vari Paesi, causate dalla crescita più lenta, in valore assoluto, dei Paesi poveri rispetto a quelli ricchi. Può darsi che la disuguaglianza, oggi, sia al suo massimo e inizi una discesa per via delle spinte equilibratrici di India e Cina, ma si tratta di una previsione incerta. Comunque, prendendo in considerazione questi ultimi 2 secoli, si può constatare come la disuguaglianza globale fosse dovuta, fino all'inizio del 900, principalmente alle differenze di classe interne ai singoli stati. Solo   successivamente, nel corso della rivoluzione industriale, l'impatto più alto sulla disuguaglianza globale è stato recato da ingenti differenze tra Stati.



    Cosa fare per riequilibrare la disuguaglianza globale?


Come dobbiamo reagire di fronte a queste differenze? Riguardo alle disuguaglianze originate dalle differenze tra Paesi, non esiste un livello di governo mondiale di cui i singoli cittadini possono sentirsi parte, per esercitare una pressione politica tale da rimediare a un'oggettiva situazione di iniquità. Esiste, tutt’al più, in chi lo avverte, un sentimento umanitario. Nulla, però, per cui sentirsi obbligati. Ma può essere a lungo tollerabile, da un punto di vista morale, una situazione in cui l'1% della popolazione mondiale detiene lo stesso reddito del 48% più povero (5)?

Se vogliamo una crescente integrazione delle economie e dei popoli, secondo quelle che sembrano essere le tendenze inarrestabili della globalizzazione, o riusciamo a far crescere il reddito dei poveri dove essi vivono, o un numero sempre maggiore di persone si trasferirà nel mondo ricco, con i problemi che ciò comporta sia ai Paesi di origine che a quelli di destinazione. Attualmente il flusso di persone che migra dai Paesi poveri a quelli ricchi interessa solo un ventesimo dell'1% della popolazione povera del mondo. Molti di più, però, desidererebbero migrare e sono trattenuti dai fortissimi deterrenti che vengono imposti dai Paesi ricchi. L'ideale sarebbe una crescita del reddito nei Paesi di origine per poter trovare anche qui condizioni di vita promettenti. Non è facile, tuttavia, rimediare alle disuguaglianze tra Paesi. Non esiste, infatti, una ricetta chiara per incrementare i tassi di crescita di chi sta in basso. La ricerca di una cura per la stagnazione economica ha dato, finora, risultati deludenti.

Qualcuno ha ipotizzato l'influenza del tasso di progresso tecnologico, ma, se anche ci fosse, sarebbe comunque legata a caratteristiche del singolo Paese, come la politica, le istituzioni, il livello di istruzione, la salute della popolazione, il clima di fiducia. Altri hanno dato importanza agli investimenti e al capitale umano (salute e istruzione della popolazione); altri, ancora, alle riforme politiche e delle istituzioni governative. Ma sembra che persino shock politici drammatici abbiano un effetto relativamente debole sulla crescita a lungo termine. Sulla base dei dati della storia, le ricette politiche degli interventi statali falliscono quanto le prescrizioni neoliberistiche. La crescita sembra essere un processo più complesso di quanto può essere spiegato da un modello universale. A volte gli investimenti accelerano la crescita, altre volte no. In molti casi è la crescita a spingere verso investimenti maggiori, non il contrario (2).

Nonostante le incertezze, tuttavia, dobbiamo impegnarci negli aiuti legati alla cooperazione internazionale. Non è vero che non servono. E' vero piuttosto che la responsabilità morale di fare qualcosa non si traduce necessariamente in regole precise su cosa fare. Ma stabilire una soglia di decenza per la mortalità materna o infantile, per il rischio di morte violenta o per il tasso di alfabetizzazione rappresenta una motivazione forte all'impegno. Nonostante i dubbi sulle politiche e gli approcci più efficaci ed efficienti, non viene assolutamente sminuito l'imperativo ad agire (2).





La convergenza nella qualità della vita


Abbiamo visto come la disuguaglianza dei redditi sia cresciuta sul piano mondiale. Fortunatamente, però, nell'ambito della qualità della vita, non è accaduta la stessa cosa. Anzi, qui si è verificata una convergenza globale: longevità, istruzione e diritti civili sono migliorati quasi ovunque nel mondo.

La salute è incominciata a migliorare in Occidente a partire dal XIX secolo, seguendo un andamento divergente, rispetto al resto del mondo, fino al XX secolo. Dal 1840 ad oggi abbiamo sistematicamente guadagnato ogni anno 3 mesi per la nostra attesa di vita. Dal secolo scorso, però, anche il resto del mondo ha incominciato la sua ascesa. Ad esempio, nel 1950 il 20% dei Paesi con minore longevità raggiungeva solo circa la metà dell’attesa di vita del 20% dei Paesi più avanzati. Nel 1999 invece, la longevità migliorava fino a raggiungere i due terzi del livello del 20% dei Paesi più avanzati. Anche i Paesi africani, nonostante l'Aids, dagli anni 60 al 2000 hanno registrato un aumento di ben 10 anni nella longevità. In epoca più recente l'aspettativa di vita alla nascita è passata da 68,8 anni nel 2004 a 71,5 nel 2013. Un analogo miglioramento è avvenuto sul fronte della mortalità neonatale. Dal 1966, ad esempio, essa si è ridotta di oltre la metà.

Sul fronte della denutrizione, il numero delle persone che soffrono la fame è calato da circa 1 miliardo nel 1990 agli 842 milioni di oggi. La diminuzione è più significativa se si tiene conto del contemporaneo aumento demografico, da poco più di 5 miliardi nel 1990 siamo passati a oltre 7 miliardi.

Se si guarda all'istruzione, la percentuale mondiale della popolazione in grado di leggere e scrivere è cresciuta dal 50% nel 1950 a circa l'80% nel 2000. Il progresso è stato particolarmente rapido tra la fine della 2' guerra mondiale e gli anni 70, ma anche negli anni 80 e 90, che vengono comunemente considerati persi per lo sviluppo, si sono viste crescere la diffusione e la durata dell'istruzione. Il progresso è stato soprattutto incoraggiante per le donne. Fra il 1970 e il 2000 il rapporto medio globale tra l'alfabetizzazione femminile e quella maschile si è spostato dal 59% al 80%.

Non solo per la salute e l'istruzione, ma anche per i diritti civili e le infrastrutture stiamo passando da uno stato di crescente disuguaglianza a uno di progressiva convergenza. E questo non per una stagnazione nella qualità della vita nei Paesi avanzati, ma per un rapido progresso, spesso senza precedenti nella storia, di Paesi che erano rimasti indietro. Questi dati non ci dicono certo che le cose vanno bene in senso assoluto. Troppe persone soffrono ancora la fame o non hanno accesso a servizi essenziali. Eppure si è verificato un progressivo miglioramento. Il più grande successo dello sviluppo non è stato rendere più ricche le persone, ma rendere meno costose e più ampiamente disponibili le cose che davvero contano, come la salute e l'istruzione. Le forze cui solitamente viene attribuito il merito di questi significativi miglioramenti sono state il progresso tecnologico e il cambiamento di idee superate. Se vogliamo continuare a coltivare questa tendenza favorevole per tutti i popoli della terra dobbiamo, perciò, essere attenti a promuovere idee appropriate e una tecnologia adatta.


Idee e tecnologia per servizi sanitari evoluti


La sostenibilità dei servizi sanitari nazionali è condizionata da alcuni requisiti necessari: più prevenzione (quella vera, legata alla rimozione delle cause di malattia, come le eccessive disuguaglianze); un'oculata definizione delle priorità (solo una parte di quello che si fa ha un rapporto ragionevole tra costi e utilità); un'attenta selezione di cure appropriate (devono essere rivolte alle persone giuste, per finalità giuste, con mezzi giusti, in tempi giusti e in dosi giuste).

A queste condizioni gli aspetti positivi della sanità occidentale possono essere estesi ai Paesi in via di sviluppo e recare benefici sostenibili anche a loro. Altrimenti rischiano di prevalere gli aspetti mercantili della sanità e si diffonde soprattutto lo spreco. Come è avvenuto in Cina, dove, a titolo di esempio, i risultati di un'indagine hanno rivelato che il 98% dei farmaci viene prescritto in modo inappropriato (2).

Per creare circostanze favorevoli ad ottenere dei guadagni di salute a livello globale, ci sono, da una parte, dei vizi che si devono perdere e, dall'altra, alcune lezioni che è necessario imparare.

Per quanto riguarda i vizi, quello peggiore deriva da un'idea sbagliata, secondo cui i servizi sanitari vengono considerati un settore importante dell'economia di mercato, sul   quale fare leva per la crescita del Pil. Purtroppo la maggioranza delle persone che contano e decidono nel mondo non considera che questa spesa, fondamentalmente sostenuta dal finanziamento pubblico, è per larga parte slegata da guadagni di salute. Una quota importante di essa, tra il 20% e il 40%, rischia addirittura di fare più male che bene.

Ignari di questi rischi e sedotti dal miraggio di un incremento del Pil, i governi hanno puntato molto sull'efficienza, la competizione e la privatizzazione della sanità. In coerenza con queste premesse ci si impegna a ridurre i costi, moltiplicare le prestazioni e selezionare quelle a maggior margine di profitto. Così facendo si è perso di vista il problema dell'efficacia, dell'essenzialità e dell'appropriatezza delle prestazioni, incrementando i conflitti di interesse all'interno dei sistemi sanitari. Le professioni di aiuto tendono ad essere snaturate rispetto alla loro vocazione originaria perché sono condizionate sempre di più, nelle decisioni e azioni che le riguardano, dal loro interesse piuttosto che da quello dei malati, al cui servizio dovrebbero porsi.

La ricerca, sia nell'ambito farmacologico che in quello dei dispositivi medico-chirurgici, viene orientata non dai bisogni di salute più gravi e frequenti della popolazione, ma dalle potenzialità di ritorno degli investimenti. Tutto questo, che potrebbe essere considerato plausibile nell'ambito del mercato dei beni di consumo, è diventato ormai l'orientamento prevalente anche in sanità, dato che circa il 95% della ricerca scientifica è appannaggio di privati.

A parte i vizi da perdere, ci sono, poi, delle lezioni fondamentali da imparare. I Paesi in via di sviluppo hanno qualcosa da insegnarci, per certi versi, anche sul piano scientifico e tecnologico. Proprio al loro interno, in alcuni casi fortunati, la ricerca e le sue applicazioni tecnologiche sono rimaste aderenti ai problemi più gravi della popolazione e si sono dimostrate sensibili ai loro specifici modi di vita. Il binomio della scienza e della tecnologia ha fornito, così, degli esempi significativi da cui dovrebbero trarre insegnamento anche i Paesi più industrializzati.

Basti pensare al caso della reidratazione orale per la diarrea. Questa terapia è stata sviluppata verso la fine degli anni 60 dal centro di ricerca internazionale del Bangladesh. Essa è stata definita come l'innovazione medica più grande del XX secolo poiché nessun'altra ha avuto l'effetto di impedire tante morti, in così breve tempo e a un costo così basso. E’ stato calcolato che fino al 2003 ha salvato più di 40 milioni di vite umane. Anche in Occidente può diventare il canone di un nuovo e diverso modo di concepire il binomio della tecno-scienza, meno vincolato al profitto e più concretamente appassionato ai problemi dell'umanità.


Conclusione


La salute è una componente importante della qualità della vita. Dipende, per una parte, dalla posizione socio-economica che hanno avuto i nostri genitori e da quella che occupiamo noi stessi, ossia dal grado di istruzione, dal reddito, dalle condizioni abitative e dal tipo di lavoro che svolgiamo. A posizioni socio-economiche più elevate corrispondono condizioni di salute migliori.

A parità di posizione socio-economica, però, la salute dipende anche dal grado di disuguaglianza della società in cui viviamo. Le società più squilibrate sono società malate poiché minano la coesione sociale, generano diffidenza e risentimento.

Sulla salute non influisce, quindi, solo la misura assoluta della posizione socio-economica, ma pure quella relativa. Ci si può sentire a disagio e, perciò, stressati, anche con discreti livelli di reddito e di istruzione, se qualcuno intorno a noi ostenta un livello di vita notevolmente superiore al nostro e alimenta il nostro senso di inferiorità.

Oltre che dalla posizione socio-economica, la salute dipende dai servizi sanitari e dalla loro accessibilità. La loro influenza, però, non è condizionata dalla quantità della spesa e dalla numerosità delle prestazioni. In Paesi diversi si raggiungono analoghi livelli di salute anche con una spesa sanitaria di 20 volte inferiore. La salute e la qualità della vita, infatti, grazie a tecnologie a basso costo e diffusamente accessibili (vaccinazioni, reidratazione orale, allattamento al seno, lavaggio delle mani, reti anti-zanzare) stanno migliorando a un ritmo accelerato per la quasi totalità dei popoli della terra, indipendentemente dai livelli di spesa sanitaria. Stiamo assistendo a una progressiva convergenza degli indici di qualità della vita in tutto il pianeta.

In una prospettiva planetaria, allora, tenendo conto dei fattori che condizionano la salute, dovremmo cercare di favorire questa convergenza in diversi modi.

a) Prima di tutto, attraverso aiuti più generosi nella cooperazione internazionale, pur con tutte le incertezze del caso, affinché il cibo, l'acqua potabile, gli alloggi e le latrine diventino accessibili per tutti gli abitanti del mondo.

b) Inoltre, dovremmo renderci conto della nuova epoca storica che si è inaugurata nel mondo industrializzato a partire dagli anni 70. Un'epoca in cui gli incrementi del Pil hanno cessato di migliorare la qualità della vita. Oggi la qualità della vita viene migliorata dall'aumento dell'equilibrio, dalla diminuzione della disuguaglianza. Non dobbiamo tanto guardare al Pil. Dobbiamo, invece, concentrare i nostri sforzi sulla giustizia, per arrivare a società meno sperequate, sia tramite una più equa distribuzione dei redditi, sia tramite un sistema fiscale autenticamente progressivo, sia tramite un sistema di welfare più equilibrato. E' molto plausibile, tra l'altro, che a queste condizioni, possa aumentare anche il Pil. Se, infatti, il Pil non migliora la qualità della vita, sembra, invece, che il miglioramento della qualità della vita aumenti il Pil.

c) La medicina e la sanità, anche se non rivestono un ruolo dominante nel condizionare la salute, possono certo contribuire a migliorarla. Purché non trasformino la salute in una merce e diventino capaci di promuovere la prevenzione, identificare le priorità e scegliere le cure appropriate in ogni singolo caso.

Il ventesimo secolo è stato per la sanità l'era della medicina scientifica e della tecnologia. Il ventunesimo secolo dovrà assistere a una rivoluzione pacifica e diventare l'era dei malati e delle scelte ragionate in loro favore (13).

Ridurre la salute a un bene di consumo, così come testimonia l'andazzo attuale, fa male sia all'umanità nel suo complesso che ai suoi abitanti più fortunati, diventati, ormai, funzionali a un sistema dominato dai conflitti di interesse, il cui scopo inconfessabile è spingere i consumi e aumentare i profitti.

Se la sanità sarà capace di questi cambiamenti concorrerà con maggior vigore al miglioramento della qualità della vita di tutti e diventerà un tassello importante di un nuovo ordine mondiale, dove la dignità degli esseri umani potrà essere rispettata in ogni angolo della Terra.


Bibliografia


1)   R. Skidelsky and E. Skidelsky. Quanto è abbastanza. Edizioni Mondadori, MIlano 2013.

2) C. Kenny. Va già meglio. Bollati Boringhieri, Torino, 2012

3) Richard Wilkinson, Kate Pickett. La misura dell'anima. Feltrinelli ed 2009.

4) M. Marmot.BMA presidency acceptance speech: fighting the alligators of health inequalities. BMJ 8-7-2010;341:c3617

5) B. Milanovic. Chi Ha E Chi Non Ha. Ed Il Mulino, Bologna, 2012

6) M. Ferrara. Le Trappole Del Welfare. Il Mulino, Bologna, 1998.

7) R. Arky. Doctor, is my sugar normal?. N Engl J Med 2005; 353: 1511.

8) S. Westin, I. Heath.Thresholds for normal blood pressure and serum cholesterol. BMJ  2005;330:1461-1462 .

9) S. Garattini, V. Bertele.Efficacy, cost and safety of new anticancer drugs. BMJ 8-8-2002; 325.

10) G Apolone et al. Ten years of marketing approvals of anticancer drugs in Europe: regulatory policy and guidance documents need to find a balance between different pressures. British Journal of Cancer 2005; 93: 504-09

11) R. Alfieri. Quale globalizzazione per la sanità? QA vol 15 n1 marzio 2004.

     12) G. Watts . In pursuit of "humanitarian science" . BMJ,  6 Decembe, 2003.

13) R. Alfieri. Le politiche territoriali per la salute. Prospettive sociali e sanitarie n.1 2014